martedì 17 settembre 2013

Il mio miglior nemico

In tutti i conflitti, anche in quelli più aspri e sanguinosi, prima o poi c’è qualcuno che inizia a interrogarsi sulle ragioni dell’altra parte. Qualcuno che inizia a riconoscere che nel campo avverso ci sono persone e famiglie con esigenze, sogni, sentimenti e speranze simili alle proprie. Qualcuno che si rende conto che il conflitto non può terminare con l’annientamento del nemico, se non altro perché sarebbe troppo lungo, faticoso, doloroso. Occorre invece parlarsi, dialogare, condividere qualche soluzione.
“Il mio miglior nemico” è un libro del 1995, e racconta la storia del conflitto Israele-Palestina dal punto di vista di due uomini, l’israeliano Uzi Mahnaimi e il palestinese Bassam Abu-Sharif che, dopo essersi ferocemente combattuti (uno nei servizi segreti militari, l’altro nell’OLP) arrivano alla conclusione che è necessario trovare un accordo.
Tra gli accordi di Oslo del 1993 e l’assassinio di Yitzhak Rabin nel 1996 per mano di un fanatico, ci fu uno spazio breve che fece ben sperare i fautori della pace in quelle terre tormentate. Subito dopo prevalsero gli opposti estremismi e integralismi. Le posizioni di chi interpreta ogni tentativo di dialogo come un tradimento e un cedimento al nemico.
Quando il conflitto dura da tanto tempo, gli uomini e le donne coinvolti non riescono a staccarsi dal passato, e il passato è intriso di torti, ferite e lutti da vendicare. Di ingiustizie e umiliazioni incancellabili, spesso scolpite nella memoria fin da bambini. Si cresce con la rabbia e il desiderio di cambiare tutto, spaccare tutto.
Poi, un po’ alla volta si fa strada qualcuno che inizia a riconoscere anche nell’altra parte lo stesso passato, le stesse paure, le stesse angosce, qualcuno che inizia a recuperare la vista e che la usa per guardare al futuro. Queste persone non hanno vita facile. Devono vincere sospetti, diffidenze, devono essere profondamente integri e onesti, perché il dialogo basato sulla furbizia è forse peggio del conflitto aperto.
Il dialogo diventa fecondo quando si è profondamente convinti delle proprie ragioni, ma si è anche disposti ad ascoltare le ragioni dell’altro, ad accettare intimamente che entrambe le aspirazioni hanno una loro dignità.
Nel libro si alternano i racconti di Mahnaimi e di Abu Sharif. Il primo parte dal nonno lituano, emigrato in Palestina nel 1912, a 17 anni, per sfuggire alle repressioni contro gli ebrei nella Russia zarista. Invece della terra “di latte e di miele” trova una terra arida e infeconda, con poca acqua potabile da contendere ai villaggi arabi, un’esistenza miserabile. Dopo un anno, il novanta per cento dei coloni aveva abbandonato o era morto di malaria, tifo, colera o si era suicidato. Chi ebbe la forza di resistere, fu il nucleo dell’Israele a venire. Abu Sharif viene invece da un’antica e nobile famiglia palestinese, in prima fila già nel 1917 a respingere come illegale la risoluzione inglese di impegno a “favorire la fondazione in Palestina di una patria ebraica”. Segue lo sbigottimento, la delusione e la frustrazione per le sconfitte rimediate nel 1948 e nel 1967, poi la breve illusione del nasserismo, la voglia di riscatto, l’adesione all’OLP, la lotta armata.
Viene ripercorso un secolo attraverso il vissuto di una famiglia israeliana e di una famiglia palestinese, la storia si mescola con la testimonianza, i ricordi, i racconti dei padri.
Sfogliandolo ieri sera, ho trovato anche un brano tra i racconti di Abu Sharif, che mette i brividi, se si pensa che è stato scritto sei anni prima dell’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001: “Il piano di Haddad era semplice: riempire il bimotore di esplosivo, farlo pilotare da Abu Harb lungo la rotta prestabilita e lanciarlo contro il più alto edificio di Tel Aviv, la torre Shalom. La torre sarebbe crollata sugli edifici vicini, accrescendo i danni causati dallo scontro e dall’esplosione iniziale. Fortunatamente per gli israeliani, ma non per Abu Harb, questi si schiantò al suo ultimo volo di prova, sotto gli occhi del Maestro, e rimase gravemente ferito. Questo mise fine all’operazione.” 
Bassam Abu-Shari e Uzi Mahnaimi, Il mio miglior nemico, Edizioni Sellerio,1996, 293 pagg.
Il libro è nel catalogo delle Biblioteche del Nord Ovest Milano e anche in quello del Sud Ovest.

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