domenica 25 giugno 2017

La provvidenza rossa



Viaggio molto interessante nel Partito Comunista Italiano nel periodo della sua massima forza elettorale e della sua capacità di influenza nella società italiana.

Un “mistery”, una storia a cui partecipano personaggi fittizi e reali e che incrocia fatti realmente accaduti a vicende totalmente inventate.

Lodovico Festa, ex dirigente del PCI milanese e successivamente co-fondatore de “il Foglio”, ci mostra dall’interno il funzionamento di un sistema che, molto prima di trasformarsi in una “giocosa macchina da guerra” e perciò affondare e disperdersi mestamente in tanti rivoli, fu un caso impressionante di stato nello Stato, una struttura di potere efficientissima e capillarmente ramificata, proiettata verso obiettivi politici forti, e in grado di interloquire alla pari e riservatamente con altre strutture di potere del nostro Paese come la Chiesa Cattolica, le forze dell’ordine, i giornali, e di condizionare interi settori della società civile come la scuola, le università, la cultura.

Con il pretesto di narrare l’indagine parallela (della polizia e del partito) sull’omicidio di una militante alla fine del 1977 (pochi mesi prima che con il caso Moro in Italia cambiassero molte cose) l’autore ci accompagna nel suo vecchio mondo, permettendoci di osservare in presa diretta ciò che finora potevamo soltanto immaginare. Vengono mostrate, tra le altre cose, la complessità e l’ambiguità, l’idealismo e la doppiezza, la potenza e i germi del successivo decadimento, la disciplina e la passione, il culto per l’efficienza e la riservatezza, la precisione e il tatticismo e soprattutto la fitta rete di relazioni, che permetteva di dialogare senza chiasso con tutti e su tutto. Una grande storia indubbiamente, che merita rispetto e che suscita inquietudine.

Avesse scritto un saggio, sarebbe stata probabilmente una mattonata che ti dovevi fermare a metà del titolo. Invece Festa ci porta dentro le cose, e ce le fa vivere attraverso i funzionari, i sindacalisti, gli intellettuali, i giornalisti, gli imprenditori, le cooperative, gli ex-partigiani, gli infiltrati, i faccendieri, le spie, i pensionati, i circoli Arci, i semplici militanti. Si concede anche qualche consapevole anacronismo perché, come spiega nella nota finale, è “interessato a ricordare più le atmosfere, gli ambienti, le sequenze, le connessioni psicologiche (forse non inverosimili) che la precisa scansione degli avvenimenti”.

In questo modo riesci a digerire le oltre cinquecento pagine del romanzo (forse con qualche ripetitività di troppo verso la fine) impari parecchio e ti diverti pure.
Consigliato a chi è interessato alla storia italiana tra il secondo dopoguerra e la fine degli anni 70 del secolo scorso e in particolare a chi vuole concedersi una visita nella sala macchine, o nella cucina, ormai diventati pezzi da museo, di un vecchio, glorioso, controverso e potente partito.