sabato 30 luglio 2016

Massimo Carlotto, Il fuggiasco



Massimo Carlotto, oggi affermato scrittore di noir, è stato anche il protagonista di uno dei casi giudiziari più incredibili della Repubblica Italiana.

Nel 1976, quando aveva appena diciannove anni, fu accusato dell’omicidio di una ragazza ventiquattrenne, Margherita Magello, per il quale si presentò come testimone, rimanendone invece per sempre unico imputato. 


Fu processato undici volte, con giudizi che hanno coinvolto anche la Corte Costituzionale, venne giudicato da ottantasei giudici e cinquanta periti, trascorse sei anni in carcere, rischiandone di morire, fuggì all’estero, in Francia e poi in Messico, dove fu catturato ed espulso. 
Quando si costituì, fece l’amara scoperta che il suo ordine di cattura era rimasto dimenticato per anni in un cassetto, dove probabilmente sarebbe rimasto ancora a lungo se lui non fosse rimpatriato. 
La “sfiga giudiziaria”, secondo la definizione di uno dei suoi legali, si accanì contro di lui in molte forme. Esami di laboratorio e prove a favore misteriosamente sparite, una riforma del Codice di procedura penale entrata in vigore nel bel mezzo di uno dei suoi processi, ponendo dubbi amletici ai giudici, un presidente di corte andato in pensione appena prima di poter recepire l’invito della Corte Costituzionale ad assolvere l’imputato, con conseguente necessità di ricominciare daccapo per mezzo di nuovi giudici che sorprendentemente ignorarono prove a discarico, non ascoltarono le testimonianze ed emisero un verdetto di condanna.

Tutta la vicenda si concluse solo nel 1993 con la grazia Presidenziale, dopo che si erano formati diversi comitati di solidarietà in Italia e all’estero. La famiglia della vittima si oppose alla concessione della grazia.


Il periodo in cui si svolsero i processi e la giovanile militanza di Massimo Carlotto in Lotta Continua sicuramente influirono nel dividere l’opinione pubblica e molto probabilmente condizionarono anche i giudici.

Si tratta di uno dei tanti casi in cui la macchina giudiziaria italiana trasmette la sensazione di obbedire a rituali e procedure completamente sganciate dal buon senso e di non riuscire a proteggersi da errori e veri e propri pasticci così clamorosi da far dubitare che siano dovuti a semplice imperizia. 
In queste situazioni perdono tutti, a partire dalle vittime e dai loro famigliari, che dal clamore mass mediatico ricavano ulteriore motivo di dolore.

In una delle sentenze di condanna, i giudici scrissero che intendevano fare del caso Carlotto “una storia dignitosa per la giustizia italiana”. Ecco, probabilmente il cittadino italiano avrebbe più fiducia nella giustizia se potesse sperare in giudici meno animati dal sacro fuoco di rimettere ordine nel mondo e più propensi a non distrarsi, ad ascoltare i testimoni, a non perdere le prove, ad attenersi ai fatti, a cercare di formarsi un giudizio, invece di rimanere fedeli ad un pregiudizio.

Al cittadino piacerebbe che ogni giudice si ricordasse che i fatti di cui è chiamato ad occuparsi hanno già provveduto a seminare una buona quantità di sofferenza nel mondo e che il suo primo obiettivo dovrebbe essere quello di non aggiungerne dell’altra.

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Il fuggiasco è il primo “romanzo” di Massimo Carlotto, pubblicato nel 1994 ed è in realtà è il racconto autobiografico di come vive un “latitante per caso”, cioè non preparato alla vita clandestina, al contrario degli appartenenti alla criminalità organizzata o ai gruppi terroristici.

La narrazione di Carlotto non segue un ordine cronologico, ma procede per temi e argomenti: i travestimenti, il cibo, il lavoro, la polizia, i rapporti con il variegato mondo degli esuli, dei clandestini, degli “irregolari”, gli amori, il carcere, i processi.



Lo stile spumeggiante dell’autore ci sostiene nel proposito di leggere a oltranza, fino ad uno sfinimento che tarda ad arrivare. Più leggere, ironiche e forse anche un po’ di maniera le pagine “parigine” della storia, e più cupe, gravi, drammatiche le parti ambientate a Città del Messico. Molto può dipendere dalle personali esperienze e conoscenze, ma per quel che mi riguarda difficilmente dimenticherò il Messico di queste pagine.


Infine, qualsiasi siano le tue idee sul “caso Carlotto”, dopo questa lettura saranno rafforzate. Se prima eri indignato, lo sarai ancora di più, se eri dubbioso, sarai ancora più perplesso, se provavi disgusto, compassione, angoscia, sconforto, il tuo stato d’animo si ripresenterà più acuto di prima. Non è libro scritto per convincere, semmai per dividere.

Chi considera la lettura parte della vita e non un modo di evaderne, in queste pagine troverà pane per i suoi denti.
 
 













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Non mi interessa una nuova vita, Bulmero. Mi interessa quella che avevo prima”. (Massimo Carlotto, Il fuggiasco)

sabato 16 luglio 2016

Claudia Piñeiro, Piccoli colpi di fortuna




Per essere felici bisogna avere anche fortuna. Ma  molte persone non sono fatte per la felicità e sembrano nate per vivere in un perenne stato di malessere. Per loro non è la fortuna che conta, non sarebbero nemmeno capaci di approfittarne, non la vedrebbero passare o si girerebbero dall’altra parte. A rendere più accettabile e più dolce la vita di queste persone sono sufficienti “piccoli colpi di fortuna”, quelle lievi increspature del destino che pur non potendo risarcirle dei colpi subiti, possono però deviare la loro traiettoria di perdenti e offrire un po’ di consolazione, di pace, di lenta risposta a molti “perché”.

Non si può dire nulla della trama di questo bellissimo romanzo senza incorrere negli spoiler. Claudia Piñeiro ha scritto una storia in cui sensibilità e mistero si fondono perfettamente e sarebbe un peccato rovinare la suspence che la scrittrice usa per accompagnare il lettore nel viaggio alla scoperta dei sentimenti e delle emozioni molto intime, molto femminili, della protagonista.

Posso solo darvi degli indizi e assicurarvi che prenderete in simpatia “la donna danneggiata”, la seguirete nella sua “inversione di rotta”, apprezzerete “la gentilezza degli estranei”, volerete tra Boston e Buenos Aires e guarderete con molta apprensione i treni. Farete anche attenzione a tanti dettagli, alla musica di Astor Piazzolla, specialmente al brano dal titolo evocativo: “Fuga y misterio”, e ad un pipistrello intrappolato sul balcone, dietro il rivestimento di una parete.

Inoltre, ogni libro parla di altri libri. Questo è pieno di citazioni, di rimandi, di probabili fonti di ispirazione per l’autrice e di altrettanti inviti alla lettura: Le bambine restano (Alice Munro), Un tram chiamato Desiderio , Una donna spezzata , Frammenti di un discorso amoroso, Wakefield (N. Hawthorne).

Pur non avendo ancora letto nulla della Munro, giunto a pagina 162 di questo romanzo ero pronto a scommettere che l’idea, lo spunto iniziale fosse stato dato alla Piñeiro dal racconto del premio Nobel 2013, cui è anche dedicata l’epigrafe iniziale: “Questo dolore acuto. Diventerà cronico. Cronico vuol dire che perdurerà anche se forse non sarà costante. Può anche voler dire che non ne morirai. Non te ne libererai ma non ti ucciderà. Non lo avvertirai in ogni istante però non passerà molto tempo prima che torni a farti visita. E imparerai alcuni trucchi per mitigarlo o tenerlo a bada, cercando di non distruggere ciò che tanto dolore ti è costato”.


E sorrido rendendomi conto che nonostante sia morto continua ad accompagnarmi, a fare le cose per me, non dall’aldilà in cui per altro non credo, ma cose che ha lasciato già fatte qui, in questo mondo, prima di andarsene, e riesco a vederle soltanto adesso”. (Claudia Piñeiro, Piccoli colpi di fortuna)

sabato 9 luglio 2016

Dino Buzzati, Lettere a Brambilla


Dal risvolto di copertina, De Agostini 1985
Dino Buzzati racconta Dino Buzzati. In centinaia di lettere finora inedite , “conversando” con l’amico più caro, Arturo Brambilla. E’ il 1919, ha soltanto tredici anni, quando comincia questo epistolario, ne sta per compiere quarantacinque quando la lunga corrispondenza dello scrittore s’interrompe. E nell’arco di circa trent’anni scorre, pagina dopo pagina, il racconto quotidiano della sua vita. Senza pudori e reticenze, con l’assoluta sincerità di chi crede in un’esistenza senza alibi. Pagine private che hanno diritto di diventare pubbliche perché Dino Buzzati non aveva segreti, perché tendeva sempre a mostrarsi quale realmente era e non temeva di contraddirsi, anzi aveva l’umiltà di rimettersi continuamente in discussione, come ogni autentico artista.
In questo vasto racconto epistolare, ora sorridente di gioia o polemicamente pungente ma più spesso carico dei tormenti dell’esistenza, Dino Buzzati è l’appassionato cronista degli anni certamente fondamentali per la sua maturazione come uomo e come scrittore. E fin dall’adolescenza – è una delle molte scoperte che offrono le Lettere a Brambilla – l’autore di Il deserto dei Tartari rivela già quello che diventerà.
Mentre da un lato è un ragazzo come tanti altri, un po’ discontinuo negli studi, che si scatena in corse a “scavezzacollo” in bicicletta e fa il tifo per Girardengo, dall’altro lo appassionano “giochi” inconsueti per la maggioranza dei suoi coetanei. Scopre il fascino dell’antico Egitto ed ecco che compone un “poema” sul dio Anubis; gli nasce la passione per la montagna, quell’amore per le ascensioni sulle “crode selvagge” delle Dolomiti che non l’abbandonerà mai più, ed ecco che crea fantasiose composizione su valli e vette popolate di gnomi e di elfi. Eppoi comincia a disegnare. Splendidamente. Nasce allora il Dino Buzzati pittore e le lettere che indirizza all’amico straripano delle sue opere. Disegni che vengono puntualmente riprodotti in questo volume offrendo così dell’epistolario un’edizione completa.
Dagli anni dell’adolescenza a quelli delle prime prove come cronista al Corriere della sera, alla stagione in cui lo scrittore è inviato di guerra in Africa o a bordo delle navi da combattimento della Marina Militare e fio all’inizio degli anni Cinquanta, le lettere di Dino Buzzati percorrono un appassionato itinerario narrativo. Pagine che non soltanto offrono momenti di rara efficacia descrittiva, di profonda verità umana ma che raccontano anche la nascita delle opere più significative dello scrittore. Le Lettere a Brambilla sono il documento di una vita e la migliore introduzione alla lettura dei romanzi e dei racconti di Dino Buzzati.
I capitoli:
-          “Ho fatto la fricassea della bicicletta”
-          “Castiglioni era l’unico professore che mi pigliava un po’ in considerazione”
-          “La verità è che se si è felici non lo si sa di esserlo”
-          “C’è una bella bambina che mi piace in un modo straordinario”
-          “Là dove c’è gloria e amore sempre a me piacerebbe stare”
-          “Le pupe saranno una bella cosa ma tolgono voglia di lavorare”
-          “Io sono entrato ieri al Corriere come cronista”
-          “Sono stabilito definitivamente nella categoria dei fessi”
-          “Ho la convinzione di poter fare un capolavoro”
-          “Io sarei spesso tentato dalla religione cattolica”
-          “Non penso che a lei, senza un attimo di tregua”
-          “Ho l’impressione che qualcosa sia veramente finito”