mercoledì 30 settembre 2015

Piatti senza frontiere

Ormai da tempo il cibo è diventato una presenza anche un po’ ossessiva nella vita di ognuno di noi. Impossibile scampare: un diluvio di pietanze fotografate e postate nei social network, gare di cucina trasmesse a tutte le ore e  in tutte le tv, rubriche, articoli e segnalazioni sui locali più “cool” del momento, continue conferme e smentite scientifiche o pseudo-scientifiche sulla validità di questa o quella dieta e sulla capacità che questo o quell'altro alimento avrebbero di farci vivere più a lungo, essere più belli, più sani, più attivi, più intelligenti.
Certamente tramite il cibo si riescono a veicolare moltissime altre idee,  il cibo è argomento che attraversa parecchi ambiti e parlare di un piatto può portare a toccare la geografia, la storia, l’economia, la medicina, la letteratura. Si potrebbe dire in parte lo stesso anche per il giardinaggio, la moda, l’oreficeria, ma il cibo è anche un bisogno primario e dunque possiede una forza e una concretezza immediata, che si coglie istintivamente. Che poi riesca a colpire la nostra testa, oltre che la gola e la pancia, dipende dall’ingegno e dall’abilità di chi lo prepara e lo propone.
“Piatti senza frontiere” è un libro che abbina il cibo al tema del viaggio e già questo è un motivo per sfogliarlo con interesse. Scritto dalla giornalista Francesca Cosentino e ispirato al suo blog Ostriche (ostrichecucina.wordpress.com)  si propone di presentare “ricette conosciute in giro per il mondo, ma vicine al nostro gusto e semplici da realizzare” .
Ogni ricetta è accompagnata da un breve spiegazione che tratta della sua origine, illustra come essa sia stata adattata e reinterpretata in diverse zone del mondo, fornisce consigli sui locali in cui viene proposta in modo speciale, suggerisce abbinamenti musicali, cinematografici e letterari. Insomma: se anche siete negati per i fornelli, potete pur sempre sorvolare su tempi di cottura, marinature e decorazioni varie e godervi una sfiziosa topografia del gusto.
Si passa dai salmoni del fiume Tay in Scozia alle boulangerie di Gordes in Provenza, alle mille vite di Jeema el-Fna a Marrakech. E poi la Boqueria, lo storico mercato di Barcellona, il Barrio Alto e l’Alfama di Lisbona, i vicoli di Bonifacio e Porto Vecchio.
Le ricette sono intervallate da approfondimenti dedicati a particolari profumi e  ingredienti (la lavanda, lo zenzero, i chiodi di garofano e molti altri) o a luoghi di culto per appassionati gourmet.
E poi curiosità varie: sapete ricavare un menu completo, dal primo al dolce, che abbia come leit-motiv i petali di rosa? Sapete che a Stoccolma si svolge la gara di cucina più famosa al mondo? E dove andare per mangiare un hamburger perfetto?

Scegliete voi se preparare le padelle o le valigie: io né l’uno né l’altro, mi rilasso sulle immagini, mi distendo sulle parole, cerco di memorizzare qualche primizia, faccio volare la fantasia e mi preparo a gustare la mia prossima pasta al pomodoro come fosse la prima volta.

Fiorella Mannoia e Ivano Fossati-Oh che sarà




Versione italiana del brano "Oh que sera" del cantautore brasiliano Chico Buarque de Hollanda, arrangiato da Ivano Fossati per l'album "Di terra e di vento" di Fiorella Mannoia (1989)

venerdì 25 settembre 2015

Le ultime diciotto ore di Gesù

Recensione pubblicata per  Qlibri

Nella sua lunga carriera di giornalista, scrittore e conduttore televisivo, Corrado Augias ci ha portato in giro per il mondo, svelandoci i segreti delle grandi città (Parigi, Londra, New York), con lucide inchieste ci ha interessati a importanti casi di cronaca giudiziaria (Telefono Giallo), ha scritto lui stesso qualche noir (il delitto e il mistero evidentemente lo intrigano assai), ha portato i libri e la cultura sul piccolo schermo (Babele).
Da qualche anno si sta dedicando a inchieste, viaggi e ricostruzioni sul pianeta Gesù, utilizzando un po’ tutte le abilità sviluppate nei lavori precedenti.
 “Le ultime diciotto ore di Gesù” è una fiction, come spiega Augias stesso, intendendo il termine nel suo significato etimologico (dal latino fingere: figurarsi, immaginare, supporre, ipotizzare)  estendendolo un po’: sognare, “perché qualunque storia è almeno in parte una bugia – o un sogno”.
Tutti sappiamo che la storia di Gesù è storia rivelata solo in parte, è storia di chi ama e vuole essere scoperto, lasciando sufficienti  segni per credere e altrettanti per respingerlo. L’intelletto non può arrivare a sciogliere ogni dubbio, come non ci si può innamorare con la sola forza della ragione. Le luci e le ombre possono però essere usate per figurarsi una scena, per tentare di descriverla e raccontarla. Si può usare il realismo crudo del Caravaggio nella “Morte della Vergine” oppure la maestosità dei sontuosi mosaici bizantini: stessi personaggi, stesse scene, ma rappresentazioni diverse, racconti diversi.
Il racconto, la fiction, il sogno di Augias è interessante e ben costruito. La credibilità è lasciata al giudizio del lettore e probabilmente non è più di tanto un obiettivo dell’opera. C’è comunque molta ricerca, rigore, studio, attenzione, amore per i dettagli. Chi conosce l’autore non può aver dubbi al riguardo. Le sue fonti spaziano dai Vangeli canonici a quelli apocrifi, dai rotoli di Qumràn alle storie di Flavio Giuseppe e la narrazione rimanda ogni tanto a qualche importante riferimento filosofico-letterario (Dostoevskij, Bulgakov, Seneca, Epicuro, Lucrezio).
Augias cerca di ricostruire quella manciata di ore che trascorrono dall’arresto nel Getsemani alla morte sulla croce, passando attraverso due processi (religioso e politico) e la flagellazione. Letto da una prospettiva unicamente storica e umana, la storia di Gesù è anche un caso giudiziario con molti lati oscuri. Non sono chiare le accuse, le prove, i testimoni. L’intensa, complessa, controversa ed enigmatica personalità dell’imputato obbliga a spostare l’attenzione sugli altri personaggi: innanzi tutto Ponzio Pilato e i gran sacerdoti, ma anche il tetrarca Erode Antipa con la sua corte corrotta, il fariseo Nicodemo, il traditore Giuda Iscariota.
Su di loro si cercano testimonianze, citazioni, aneddoti, riscontri. I personaggi di fantasia (il leale centurione Kyrillos, l’ambiguo consigliere Nikephoros) servono per portarci dentro la storia, farcela vivere in 3D, oppure (lo scrittore Lucilio) per trasferirci le probabili personali inquietudini dello stesso Augias.
Giuseppe e Maria, totalmente umanizzati e privati di ogni connotazione mistica, danno vita e colore a una libera interpretazione dell’ambiente domestico nel quale Gesù è nato e cresciuto.
Nonostante l’imminente festività della Pasqua ebraica, il clima entro il quale si avverano le antiche profezie è fosco, intorbidito dalla decapitazione di Giovanni il Battista. Fioriscono i complotti, i tranelli, i tradimenti, i sotterfugi, i calcoli opportunistici, le debolezze, le vigliaccherie. Tutto contribuisce a rendere plastico il concetto che proprio per l’eterna inadeguatezza umana Gesù salì sulla croce.
Un uomo si trova suo malgrado al centro di queste trame malsane: il procuratore romano Ponzio Pilato che, dando credito al giudizio di  Filone d’Alessandria, Augias rappresenta come un malmostoso, collerico, ulceroso e grezzo militare, infastidito dall’ennesima grana che gli tocca risolvere in quella lontana, infida e riottosa provincia dell’Impero.
Pilato è preoccupato. Ha già commesso gravi errori. A Roma lo tengono d’occhio, sa che un altro passo falso gli sarebbe fatale: la competizione è spietata, i nemici lo incalzano, i benefattori sono lontani e ormai disinteressati alla sua sorte. Per giunta, sua moglie Claudia Procula lo tormenta con oscuri presagi e sembra inspiegabilmente sensibile alla sorte di questo profeta pazzo e sventurato. I gran sacerdoti gli hanno teso una trappola, scaricandogli la responsabilità di mandare a morte un innocente. Come venirne fuori?
Un’ultima annotazione. Un libro come questo non poteva escludere completamente l’ambito spirituale. La stessa rappresentazione storica, umana e terrena dei fatti sarebbe stata deformata, perché ogni singolo atto o parola che riguarda Gesù è intrisa di spiritualità. Alcuni personaggi (Nicodemo, Giuda, gli Esseni) coprono l’ambito culturale e di testimonianza di questo aspetto. Il suo lato esistenziale è invece affidato a due anime inquiete: Claudia Procula e soprattutto lo scrittore Caio Quinto Lucilio, dietro al quale fa capolino, forse, lo stesso Augias.
Lucilio è uomo colto e sensibile, mosso da pietas, capisce, si interroga, riflette. Non gli piacciono le risposte e le soluzioni di comodo, pur nella consapevolezza che su di esse si regge il governo del mondo.

Nauseato dalla conclusione di questa storia, Lucilio lascerà Gerusalemme, tornerà a Roma e con gli anni seppellirà ogni giovanile speranza di resurrezione dopo la morte, non aspettandosi altro che il ritorno a madre natura, nella cui infinita immensità è dolce naufragare.


sabato 19 settembre 2015

Danny l'eletto

Fin dalle origini della tradizione chassidica, il tzaddik era il capo della comunità, un uomo particolarmente devoto, sapiente e sensibile, che la gente seguiva con fiducia e a lui si rivolgeva per ogni problema. I chassidim riconoscevano nello tzaddik un vincolo sovrumano tra loro e Dio.
Come spesso succede quando i movimenti spontanei, guidati da uomini particolarmente carismatici, si cristallizzano e diventano istituzioni, anche nel chassidismo ci furono abusi. La carica di tzaddik divenne spesso ereditaria, molti tzaddikim vivevano come monarchi orientali, le comunità divennero clan chiusi e dogmatici che, anche per il tramite di barbe, riccioli e vestiti scuri con le frange, si illudevano di fermare il tempo alla Polonia del diciottesimo secolo.
Ogni aspetto estraneo allo studio del Talmud era un potenziale pericolo e si composero liste di cose lecite e di cose proibite, molti libri vennero messi al bando e si diffuse la pratica dei matrimoni combinati fin dalla più tenera età. Studiare le materie ebraiche in lingua ebraica anziché in yiddish era considerato un peccato inaudito, perché l’ebraico era la Lingua Santa e usarlo normalmente in classe era una profanazione del Nome di Dio.
Quando il movimento sionista iniziò a propugnare uno Stato ebraico in Palestina, trovò nelle comunità chassidiche uno strenuo avversario, perché non si ammetteva una patria ebraica che non avesse al centro la Torah, non doveva quindi esserci una patria ebraica fino all’avvento del Messia.
Fanatismo? Certamente. Eppure anche un ebreo liberale, pur non condividendo affatto queste scelte e questi comportamenti, può affermare che “il fanatismo d’uomini dello stampo del rabbino Saunders ci ha conservati in vita durante duemila anni di esilio.
Le ultime, sconvolgenti quindici pagine di “Danny l’eletto” gettano una luce nuova su tutto il romanzo e rivelano che ci può essere un’infinita tenerezza nella dura roccia che protegge e custodisce le radici della pianta cresciuta con fatica al suo interno. Se ci si ferma alla superficie, si sperimenta solo il lato duro, ruvido, sgradevole, e anche violento, di uno stile di vita incomprensibile e inaccettabile.
Ma scavando in profondità (e per questo occorre che ci siano delle profondità, quindi l’integralismo non è per tutti) si può scoprire un sorprendente ed inesauribile pozzo di sensibilità, comprensione, amore ed empatia. Si può scoprire che dietro veti, bandi e proibizioni si nasconde la consapevolezza che essi saranno tutti abbattuti e che è ineluttabile che le regole formali, le prescrizioni, i codici siano prima trasgrediti e poi abbandonati. Nel frattempo, con severità, disciplina e rigore ben oltre ogni limite comprensibile, avranno forgiato un’anima, avranno formato un uomo.
Quest’uomo potrà anche tagliarsi i riccioli, la barba, smettere gli abiti scuri e le frange, ma rimarrà per sempre profondamente un tzaddik, un giusto, un sapiente, un caritatevole, un uomo che anche nella confusione delle strade del mondo non perderà mai la propria.
“Danny l’eletto” ci parla dell’amicizia di due ragazzi ebrei newyorkesi, alla fine della seconda guerra mondiale.  Reuven è figlio del professor Malter, un ebreo colto e di larghe vedute, sostenitore e promotore del sionismo. Daniel invece è figlio del rabbino Saunders, uno tzaddik di grande carisma, stimato, e rispettato da tutti.
Danny, destinato ad ereditare la carica del padre, è un ragazzo eccezionalmente intelligente, curioso e sensibile. Divora di nascosto letture “proibite”, stringe amicizie pericolose eppure non osa mettere in discussione né l’autorità del padre, né il severo (forse anche crudele) sistema di vita entro cui è cresciuto.
Non si tratta solo di un grande romanzo sull’amicizia: il libro ci parla anche di padri e di figli, di silenzi e di incomunicabilità, di parole dette in silenzio, di canali di comunicazione incredibilmente tortuosi, che devono farsi strada tra le complessità dell’anima.
E’ un libro che invita anche a riflettere, noi apparentemente liberi, liberali, laicissimi, aperti e democratici. Ci invita a non fermarci all’aspetto sgradevole e aspro della roccia, ad andare oltre le idee e i comportamenti che ci sembrano incomprensibili, arcaici, ottusi e bigotti. Troppo facile denigrarli, rifiutarli, rispondere al fanatismo con altrettanto fanatica superficialità. L’istinto sarebbe quello, ed è naturale. Infatti, anche l’amicizia tra Reuven e Danny nasce da uno scontro, dall’odio persino. Ma poi i due ragazzi fanno leva sulle proprie qualità e da quella contrapposizione nasce una grande amicizia, un legame solido, un ponte tra due mondi apparentemente incomunicabili.
Non dovremmo mai dimenticare che il dialogo è sempre possibile. A due condizioni: che si abbia la voglia e la capacità di scavare, e che sotto la superficie ci sia qualcosa.
Crescere un figlio nel dolore e nel sacrificio, imporre a sé e agli altri privazioni e sofferenze, continuerà a sembrarci un prezzo inaccettabile per forgiare un carattere. Ma chi vive in un mondo protetto da barriere sa e si aspetta che esse siano superate prima o poi, sa che quel mondo si dissolverà e si mescolerà con altri mondi.
Forse è proprio su questo che si fonda il dialogo: la capacità di guardare avanti, pur senza dimenticare la validità delle proprie ragioni e restando intimamente fedeli alle proprie radici.