lunedì 13 aprile 2020

Sono corso verso il NIlo

“Sono corso verso il Nilo” è un romanzo che nasce dall’impegno civile di ‘Ala al-Awani, dentista, scrittore e attivista del movimento egiziano per la democrazia Kifaya nel quale ha partecipato alla rivoluzione egiziana del 2011.
Indipendentemente dalla tensione morale e dai principi etici che ne stanno alla base, il romanzo mi ha positivamente impressionato per la capacità di tratteggiare un quadro molto ampio della società egiziana in molti dei suoi ceti, da quelli più popolari a quelli appartenenti all’oligarchia al potere. Da questo punto di vista, l’autore riesce ad illustrare in modo più leggero e ad un pubblico più ampio ciò che saggi politici o sociologici o inchieste giornalistiche cercano più faticosamente di raccontare, raggiungendo inevitabilmente un pubblico più ristretto. Inoltre si tratta di un libro letterariamente molto valido, con una storia avvincente nella sua drammaticità, uno stile fresco e godibile, personaggi interessanti e credibili. Non c’è un vero e proprio protagonista, ci sono una decina di personaggi, una decina di storie ugualmente importanti che si intrecciano e si alternano nella narrazione, contribuendo a rendere l’opera corale e avvolgente, ci si sente davvero immersi in un’atmosfera elettrizzante di cambiamento (su cui incombe la cupa consapevolezza di come andrà a finire), arrivando però a cogliere anche le ragioni di chi difende il regime e soprattutto dei moltissimi indifferenti, rappresentati nella loro quotidiana normalità, nella difficile arte di farsi strada nella vita senza mai ribellarsi e rimanendo costantemente vigili e pronti ad approfittare di ogni occasione di progresso per sé e soprattutto per i propri figli.

Ovviamente il tema religioso emerge ad ogni pagina, quasi ad ogni riga, ma in modo naturale, senza le forzature e le semplificazioni che in occidente ci siamo abituati a fare dall’inizio del XXI secolo. L’Islam di per sé non spiega né il regime oppressivo, né la corruzione, né le violenze o le discriminazioni: in nome della fede religiosa si può scendere in piazza per chiedere il cambiamento, oppure stare dall’altra parte della barricata e difendere il potere costituito, oppure tenersi fuori da tutto questo e continuare a fare la stessa vita di sempre. Ciò che l’autore rimprovera al suo popolo è di essere sottomessi non a Dio (in arabo muslim significa “sottomesso a Dio”), ma a chiunque eserciti il potere e di farsi manipolare da chi usa la religione, la corruzione e la polizia segreta per difendere i privilegi dell’oligarchia al comando, che detiene le redini del potere indipendentemente dal leader politico occasionalmente al governo.



Dal romanzo emerge poi anche il volto del fascismo, sempre uguale in tutte le latitudini e in tutte le culture: la repressione violenta e la tortura hanno l’obiettivo di annientare la persona nella sua dignità, di farla sentire una nullità, di mutilarla nello spirito ancora più che nel fisico, perché il fascismo di ogni epoca e paese pretende che non esistano individui, persone, ma soltanto masse indistinte, manipolabili e plasmabili con la propaganda.


In conclusione, un romanzo consigliabile a tutti per la sua qualità letteraria, per l’incisiva rappresentazione di un’importante realtà sociale contemporanea e per l’elevato valore morale che la ispira.

“Questa è la verità, Mazen. Io sono davvero una nullità, tu sei una nullità, tutti i ragazzi della rivoluzione sono una nullità. Ci hanno fatto, e continueranno a farci, tutto quel che vogliono. Ci ammazzeranno, ci violenteranno, ci faranno perdere un occhio con un proiettile di gomma, e nessuno sarà mai giudicato, nessuno mai pagherà. E sai perché? Perché siamo una nullità; perché abbiamo fatto una rivoluzione di cui nessuno aveva bisogno e che nessuno voleva. Lo so che tu credi ancora nel popolo. Io, invece, non ci credo più. Questo popolo, per la cui libertà e dignità sono morti i migliori di noi, non sa che farsene di libertà e dignità. Ti chiedevi il perché di tutto l’odio che abbiamo visto negli occhi degli ufficiali che ci ammazzavano. E’ perché loro detestano quello che noi rappresentiamo. E’ perché noi chiediamo di essere cittadini e non schiavi. Il popolo per cui abbiamo fatto la rivoluzione, Mazen, odia noi e odia la rivoluzione”.

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