sabato 11 aprile 2020

Paola Mastrocola, Leone

Paola Mastrocola è una scrittrice che mi piace molto perché scrive storie sempre un po’ vestite di elementi surreali per parlare meglio di argomenti concreti e contemporanei, piuttosto ben radicati nella nostra esperienza di vita quotidiana.



In questo romanzo ci parla con il consueto garbo e gentilezza di infanzia, di mura domestiche che custodiscono i nostri affetti e che impediscono di conoscerli fino in fondo, di periferie metropolitane che una volta erano state paesi a sé, e che poi hanno lasciato inghiottire i propri abitanti in una folla di solitudini e desideri, confondendoli in un groviglio di frettolosa modernità e di antiche vicinanze.

Una di queste periferie è il Bussolo, dove vive Katia, una giovane mamma con una vita di corsa, un lavoro al supermercato, al suo fianco un ometto di sei anni e nessun altro.

E poi c’è quella cosa strana e sconveniente che stupisce, disorienta, crea imbarazzo, irritazione, derisione e incredulità e che è la preghiera.

La veloce trasformazione del Bussolo, la sua urbanizzazione gonfia di vetrine, merci, orari, impegni e consumi aveva fatto mettere un po’ a tutti in soffitta la vecchia mercanzia delle nonne, i pomeriggi a giocare sul pavimento, le favole del coniglio Niglio, i materassi di lana, gli agnolotti a Natale e tutto quel tempo da riempire con le parole, i gesti, l’ascolto e le preghiere. Soprattutto le preghiere erano finite nel fondo del baule, dimenticate e sepolte da mille altri oggetti, ricordi e cimeli.

Ma qualche volta succede che i bauli si riaprono, le parole riaffiorano, la nebbia si dirada e la memoria ritorna. Bisogna però che ci sia uno scossone, qualcosa che ci spinga ad andare in soffitta. Come vedere un bambino che prega, con sincerità e spontaneità, ovunque gli capiti. Prega per essere meno solo su questa terra e per sentirsi unito a chi ama, che è forse il senso vero della preghiera in ogni tempo e in ogni luogo.

Vedere la preghiera uscire dai rassicuranti recinti delle chiese e dei monasteri, dal buio delle camerette o dal chiuso delle nostre menti per invadere il mondo libera e impudica, senza nemmeno il velo del bigottismo a ricoprila, è qualcosa di urticante e disturbante. I più impauriti, possono reagire con rabbia e aggressività. Eppure, manifestare i propri sentimenti più profondi è una via che infallibilmente conduce a molte sorprese.

Idea e soggetto molto belli e interessanti, il rischio di didascalismo aleggia un po’ dappertutto e rende lo stile meno brillante e tonico del solito, a partire da circa metà del romanzo.
Il tocco lieve, la capacità di trovare la bellezza nella normalità delle piccole cose, un pizzico di magia e qualche valido spunto di riflessione valgono la lettura.

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