Su La Sepoltura della
Letteratura, uno dei blog che seguo, ieri c’è stata un’interessante discussione
su questo romanzo, con oltre 40 interventi, tra cui il mio. Tutto è partito da
una pesante stroncatura del gestore del Blog, con conseguenti
commenti a favore e contro.
Per quel che mi riguarda,
considero “La solitudine dei numeri primi” un buon romanzo d’esordio, con
un’efficace idea di base e ottime capacità di catturare l’attenzione del
lettore (senza però riuscire a condurlo a un approdo convincente). Certo, non
mi sfugge l’abile operazione di marketing editoriale che sicuramente c’è stata
dietro a questo lancio. Ma non mi disturba più di tanto. Anche perché in questi
casi io sono solito evitare l’acquisto del libro e preferisco prenderlo in
prestito in biblioteca. Per l’acquisto ci può essere tempo dopo, se sono
davvero convinto. E’ la stessa cosa che ho fatto con un altro romanzo uscito più
o meno nello stesso periodo di quello di Giordano: L’eleganza del riccio. Anche
la Barbery sviluppa un tema interessante, con buona tecnica, ma con una
pedanteria e leziosità che mi ha un po’ infastidito e che alla fine mi ha
portato a respingere il suo romanzo, per il quale, al contrario che per La
solitudine, darei un giudizio tutto sommato negativo.
In definitiva, a me pare che
libri come questi, anche quando tecnicamente validi, manchino di autentica passione. Sembrano
esercizi di stile, più o meno riusciti, ma non riescono ad andare in profondità
proprio perché si percepisce che anche l’autore li ha costruiti in modo freddo,
senz’anima. Forse mi avete già capito, ma c’è una parola chiave, tra i commenti
che sono stati inseriti ieri, che mi ha fatto sobbalzare. Ad un certo punto una
lettrice chiede al gestore del Blog: scusa, ma perché parli ancora di un libro
così “datato”? Questa parola mi ha evocato un’altra esperienza personale. Su
Qlibri qualche settimana fa ho recensito il romanzo di Paola Mastrocola “Non so
niente di te” e uno dei commenti ricevuti è stato più o meno questo: sono venuti
fuori buoni spunti, considerando che si tratta di una lettura un po’ “datata”
(NB: non erano ancora trascorsi 12 mesi dall’uscita di
questo romanzo!)
Ecco, girando attorno al termine
“datato” forse riesco a spiegarmi meglio. I libri che sono portato a promuovere
senza tentennamenti sono quelli che riescono a resistere un po’ di più del
tempo in cui cambia la moda del taglio di capelli o si abbassa o si alza il
girovita dei calzoni. Sono quei libri in cui l’autore, parlando di qualsiasi
cosa, passata, presente, o futura, riesce a mettere tutto se stesso e, poiché
il cuore umano da millenni è attraversato dalle stesse passioni, così facendo non
può che collocarsi nel flusso dei grandi temi narrativi che da Omero in poi ci
affascinano e ci appassionano.
Forse, oltre a quello delle
biblioteche, possiamo ricavarne un altro suggerimento: aspettiamo che la moda
passi. Quando ci sarà silenzio, si saranno spente le luci e le voci dei lettori
che non vogliono perdere tempo su oggetti “datati” si saranno disperse nell’aria,
allora sarà il momento di prendere in mano quel libro su cui eravamo dubbiosi,
sfogliarlo e iniziarlo a leggere. E se nel perfetto silenzio ci comunicherà
davvero qualcosa, andiamo avanti con fiducia.
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