sabato 22 luglio 2017

I duellanti, di Joseph Conrad

L’insensatezza delle passioni che offusca la vista e fa precipitare verso il baratro. L’inconsapevole pulsione autodistruttiva che inspiegabilmente attrae e soggioga l’anima. La trappola dell’orgoglio, dell’onore, dei codici e delle convenzioni che  impediscono di fermare la corsa verso la catastrofe, anche quando essa è sempre più evidente. La salvezza non è in noi ma negli altri e può arrivare solo se abbiamo la fortuna di guardare oltre e di cogliere lo sguardo d’amore posato su di noi.
“Il generale D’Hubert ebbe il secondo di tempo necessario per ricordare che egli aveva temuto lo spettro della morte non come uomo, ma come amante; non come un pericolo, ma come un rivale; non come un nemico della vita, ma come un ostacolo al suo matrimonio.”
Come in tutte le opere di Conrad, anche questo lungo racconto o romanzo breve (130 pagine) è pervaso dal mal di vivere. Pur mancando l’atmosfera dei mari esotici e delle terre lontane (siamo in Europa durante le guerre napoleoniche), ritroviamo la stessa febbre, la stessa corsa verso l’abisso, la stessa lotta contro lo spirito animale nascosto nelle nostre viscere e che vuole nutrirsi del nostro stesso sangue.
Non ingannino le differenze sociali, perché in modi diversi si tratta di una febbre che colpisce tutti, l’aristocratico, settentrionale e ben educato D’Hubert, come il focoso, “terrone” e plebeo Feraud. Non  conta chi ha provocato e chi non ha saputo resistere alle provocazioni: l’uno ha bisogno dell’altro per sentirsi vivo e per dare un senso a ciò che un senso non ce l’ha.
Semmai il diverso ambiente e le diverse risorse economiche e culturali consentono una diversa gestione di queste pulsioni, conducendo infine a sbocchi diversi.
Leggere Conrad non è mai stato piacevole per me, e questo basta per non annoverarlo tra i miei preferiti, eppure sono attratto dalle sue opere con la stesso insensato gusto per il male che domina i protagonisti delle sue storie.
“I duellanti”, è ispirato ad un articolo pubblicato su un giornale, nel quale si ricordava la vicenda di due ufficiali napoleonici che nel corso di vent’anni si sfidarono a duello svariate volte per futili motivi, che rimasero avvolti nel mistero.

Nel 1977 Ridley Scott ne ha ricavato un film cupo e tenebroso, che tiene lo spettatore incollato alla sedia, interpretato da Harvey Keitel (Feraud) e Keith Carradine (D’Hubert) sostanzialmente fedele al romanzo ma tutto focalizzato sulla virile contrapposizione tra i due personaggi e sul parallelismo con la rapida ascesa e caduta del parvenu di Ajaccio, escludendo gli aspetti che, soprattutto nel finale, rendono l’opera di Conrad un po’ più ricca e poliedrica.

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