“Dal piccolo recinto spoglio e senz’alberi che conteneva suo
padre, sua madre e qualche altro contadino, scrutò l’orizzonte in direzione
della fattoria dov’era nato e dove i suoi avevano trascorso tutta la loro vita.
Pensò al prezzo che avevano pagato, anno dopo anno, a quella terra che rimaneva
com’era sempre stata, un po’ più arida, forse, e un po’ più parca di frutti.
Nulla era cambiato. Le loro vite erano state consumate da quel triste lavoro,
le loro volontà spezzate, le loro intelligenze spente. Adesso erano lì, in
quella terra a cui avevano donato la vita e lentamente, anno dopo anno, la
terra se li sarebbe presi. Lentamente
l’umidità e la putrefazione avrebbero infestato le bare di pino che
raccoglievano i loro corpi, e lentamente avrebbero lambito la loro carne,
consumando le ultime vestigia della loro sostanza. In ultimo sarebbero
diventati una parte insignificante di quella terra ingrata a cui si erano
consegnati tanto tempo addietro”.
Anche William Stoner, come suo padre e sua madre, era
destinato in principio a diventare “una parte insignificante di quella terra
ingrata”, ma poi il destino prese per lui una piega diversa, frequentò
l’università, si appassionò agli studi, divenne ricercatore e, con la stessa
muta dedizione con cui “a sei anni già mungeva le loro vacche ossute, dava da
mangiare ai maiali nel porcile a poche iarde da casa e raccoglieva le minuscole
uova delle vecchie galline nel pollaio”, con lo stesso tenace, servizievole e
disciplinato impegno che a diciassette anni già gli aveva incurvato le spalle
sotto il peso delle cose da fare, dedicò tutta la sua vita all’insegnamento e divenne
una parte insignificante non della terra ingrata, ma di quell’università
ingrata a cui si consegnò tanto tempo addietro.
Una vita apparentemente grigia, piatta, tanto da dubitare
che fosse degna di essere vissuta e che nascondeva invece sotto la cenere della
monotonia e dell’inettitudine una grande capacità di provare emozione e
passione, pur non riuscendo mai a comunicarla, a trasmetterla, a lasciarla
trasparire. L’emozione non ha voce, sembra proprio il caso di dire, fin dal
momento in cui Stoner resta affascinato anche fisicamente dai muri dell’Università,
ne percorre i corridoi, accarezza le copertine dei libri, ne inala l’odore di
cuoio, resta annichilito e senza parole nel momento in cui è chiamato a
commentare un sonetto di Shakespeare.
Una vita non facile, non felice, non fortunata, affrontata
con la mite imperturbabilità del contadino che sa che a nulla serve lamentarsi
del gelo, della grandine, della natura ostile e matrigna, ma si adatta al suo
ambiente e trova il modo di conviverci, di amarlo persino, con un accanimento,
un fatalismo e un’ostinazione che dall’esterno possono
apparire ottusi e incomprensibili.
L’esterno, le apparenze, il mondo: non c’è persona meno
interessata di William Stoner a cosa succede fuori e persino due guerre
mondiali riescono soltanto a suscitargli un vago senso di malessere e di disagio
per il terribile spreco di energie, di sangue, di gioventù, di speranze.
Stoner, a cui la vita scivola addosso come su pietra liscia e compatta, da un
lato ci affascina per la sua capacità di rimanere perennemente bambino, di conservare
intatto il suo stupore, a sessant’anni come a venti, dall’altro ci fa
arrabbiare perché lo vorremmo meno imbelle, se non per se stesso, almeno per le
persone che ama.
In ogni caso, un’esperienza che non potrebbe essere più
lontana dal nostro tempo dominato dagli affanni, dall’apparire,
dall’esteriorità, da una competizione sempre sproporzionata rispetto alla posta
in gioco. Tanto che alla fine ci domandiamo: ma non avrà ragione lui?
Ricordo di aver sentito parlare per la prima volta di questo libro da Massimo Ammaniti nella trasmissione "Pane Quotidiano". Interrogato su quale fosse il libro in grado di avergli cambiato la vita, tra i vari, Ammaniti citò proprio Stoner, da lui letto poco tempo addietro. Ebbene, mi colpì la frase finale che usò per lodare e descrivere l'opera di Williams: "La luce che entra in una vita grigia e anonima"... sono tanto curiosa di vedere quali saranno le mie sensazioni!
RispondiEliminaIo credo che Stoner ti piacerà. E' strano perchè si tratta della storia di un perdente, in un Paese che non ama i perdenti. Elido Fazi però è uno dei più grandi esperti italiani di letteratura inglese e americana e con questo romanzo ha avuto un ottimo fiuto. Io l'avevo in lista fin dalla sua uscita, un paio d'anni fa.
RispondiEliminaWilliams è bravo e riesce a farci appassionare a un personaggio apparentemente grigio e anonimo.Non so in che modo questo romanzo possa aver cambiato la vita a qualcuno, ma sicuramente è un invito a non fidarsi delle apparenze e a pensare che sotto l'apparente calma del mare si agitano tumultuose tempeste...