Ho acquistato questo libro oltre un anno fa, subito dopo la
sua vittoria al Premio Strega. Ad attrarmi non fu il premio in sé, ma il tema
(la zona grigia tra criminalità e finanza) e alcuni giudizi più che positivi da
parte di firme autorevoli (Massimo Gramellini: “l’autopsia a cuore aperto di un
cadavere, il capitalismo finanziario degli ultimi decenni”; Goffredo Fofi: “un
romanzo d’eccezione per la forza dei suoi confronti, la vivacità dei suoi
squarci”).
Ho lasciato trascorrere un anno, non mi sono volutamente
informato sull’autore, che non conoscevo, e un giorno di quest’estate mi sono
deciso ad iniziare a leggere. Non so quale oscura forza o quale insana piega
della mia personalità mi ha tenuto agganciato fino all’ultima pagina.
Certamente hanno contato anche l’energia della scrittura (almeno questo devo
riconoscerlo) e la mia tigna nel voler a tutti costi scoprire dove andava a
parare questa “favola inversa”. Cercavo forse il guizzo finale capace di
riabilitare fiumi di inchiostro tossico e inconcludente.
Purtroppo, in oltre trecento pagine non ho trovato nulla di
interessante né di originale sul tema che il libro ha la pretesa di analizzare e scandagliare. Ho
trovato invece una visione del mondo cupa e funerea, elucubrazioni intellettualistiche
noiosette e ripetitive inframmezzate a qualche sbirciatina al mondo del jet set
televisivo, modaiolo e della finanza da fotoromanzo a sostegno del cinismo tipico
di chi vuole distinguersi dalla massa delle persone normali, quelle “che fanno
venire sonno solo a guardarle”, tecnicismi finanziari sparsi come il prezzemolo
per ogni dove, propinati con l’entusiasmo ingenuo e la totale assenza di
credibilità del neofita e, a dare più pepe al pastone, abbondanti cucchiaiate
di misoginia e di pornografia che danno colore e nerbo a personaggi altrimenti
vuoti ed inconsistenti. Dovendo esplorare una zona grigia, tutti gli uomini
sono marci e amorali, va da sé, ma c’è un particolare e insistito accanimento
verso le donne: non ce n’è una che non sia puttana, tutte si concedono, si vendono,
si fanno sodomizzare con una velocità che probabilmente nemmeno nei filmetti
pornografici è così fulminea, persino la madre del protagonista, persino la
dodicenne figlia di un imprenditore con l’acqua alla gola, che viene venduta in
modo criminale e infame dal padre, ma poi Siti infierisce anche su di lei
facendola stare al gioco in cambio di una vittoria in una gara di roller,
perché anche l’infanzia, dopo le donne, la famiglia e la normalità deve essere
schifo e ribrezzo.
Tutto questo non mi convince, non è nient’altro che una
lugubre favola che vorrebbe farci credere che il male del
mondo trae origine da un pugno di malvagi corruttori e da una moltitudine di
corrotti o corruttibili. Tesi molto assolutoria e consolatoria, io penso che la
realtà sia un filino più complessa e che il male non provenga solo dai malvagi,
ma spesso proprio da chi è convinto di fare del bene o almeno da chi agisce per
una valida ragion di stato, o per un puro ideale da anima candida, o per un
sano interesse imprenditoriale, o per il futuro dei propri figli, magari a
scapito del presente dei figli di qualcun altro. Per non parlare dell’immensa
quantità di male che proviene semplicemente dagli errori, dalle omissioni,
dalla sciatteria, dalla negligenza, dall’ignoranza, dalla superficialità, dall’indifferenza, dal
conformismo, dall’appiattimento, dall’elogio della disponibilità che viene
spacciata per meritocrazia, dalla paura, soprattutto dalla paura.
Della mafia dei colletti bianchi, delle incursioni della
criminalità organizzata nel mondo della finanza e del business ci hanno già
parlato magistrati, giornalisti, scrittori. Certamente c’è ancora tantissimo da
scoprire e da capire, ma non mi pare proprio che Siti aggiunga nulla di nuovo,
anzi ci offre una rappresentazione stereotipata e poco credibile, infarcita di
situazioni fastidiose e sgradevoli descritte con linguaggio greve, solo
parzialmente alleggerito dalla cultura dell’autore.
Resta il fatto che si tratta di un romanzo, non di un saggio
sociologico, né di una inchiesta giornalistica. Il personaggio di Tommaso, l’ex
bambino obeso, figlio di un soldato della malavita, che forgia il proprio
carattere attraverso la solitudine, l’emarginazione e una spiccata attitudine
per la matematica, all’inizio si lascia seguire nonostante non faccia alcuno
sforzo per rendersi simpatico. Lo accompagniamo con curiosità fino alla fine
dell’università e all’inizio della sua fulminea carriera, poi ci rincresce molto
vederlo perdersi nella banalità dei rendez-vous con modelle e attricette varie
e in improbabili speculazioni da videogame, giocate tra sceicchi arabi,
bombaroli slavi e faccendieri sudamericani con l’unico risultato di dover frequentare
controvoglia qualche manciata di
VIP della politica, dello spettacolo, della moda e della finanza.
Walter Siti è letterato, critico e scrittore molto
apprezzato, io invece sono uomo di poca cultura e dai gusti semplici e dunque
può darsi che io questo libro non l’abbia capito. Ho sempre questo sospetto
quando un’opera tanto celebrata è così lontana dal mio gusto e dalla mia
sensibilità, anche perché in genere io sono un lettore piuttosto “ecumenico”.
Sarà dunque un mio limite personale, ma io continuo a pensare che non basta l’omosessualità esibita e
sbandierata e la fama di studioso di Pasolini per eguagliare l’incisività, la lungimiranza e l’anticonformismo dell’autore di Scritti
Corsari. Soprattutto non basta il paravento dell’erudizione e della cultura
personale per trasformare una furba accozzaglia di luoghi comuni, banalità e
volgarità in un capolavoro. Però evidentemente basta per vincere il premio
Strega
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