sabato 14 settembre 2024

Donna in blu, Johannes Vermeer









 



"Pensa ad esempio, alle donne di Vermeer, sole nelle loro stanza, con la viva luce del mondo reale che penetra da una finestra (a seconda dei casi aperta o chiusa); e alla profonda fissità di quelle solitudini, evocazione quasi atroce del quotidiano e delle sue varianti domestiche, Pensa, in particolare, a un dipinto visto durante il viaggio ad Amsterdam, Donna in blu, la cui contemplazione, al Rijksmuseum, quasi lo paralizzò. Come ha scritto un critico: <<La lettera, la mappa, la gravidanza della donna, la sedia vuota, la scatola aperta, la finestra che non si vede: tutte sono allusioni o simboli naturali dell'assenza, del non veduto, di altri spiriti, altre volontà, altri tempi e luoghi, del passato e del futuro, della nascita e, forse, della morte. In generale di un mondo che trascende i confini della cornice, e di orizzonti più vasti, più ampi, che si chiudono dando di cozzo nella scena sospesa davanti ai nostri occhi. Ed è tuttavia sulla pregnanza e sull'autosufficienza dell'attimo presente che insiste Vermeer; con convinzione tale che la sua capacità di orientare e contenere si carica di valore metafisico.>>

Ancor più degli oggetti elencati, è la qualità della luce che entra dalla finestra non vista che lo persuade a volgere l'attenzione verso il difuori, al mondo oltre il dipinto. A. fissa attentamente il volto della donna, e a poco a poco riesce quasi a udirne la voce interiore mentre legge la lettera che ha nelle mani. Quella donna così avanti nella gravidanza, così tranquilla nell'imminenza della maternità, con la lettera estratta dalla scatola, sicuramente letta già cento volte; e lassù, appesa al muro alla sua destra, una mappa del mondo che è immagine di tutto quanto esiste fuori dalla stanza: quella luce, che scende dolcemente sul suo volto e si riflette sul grembiule blu, il ventre gonfio di vita il cui blu è immerso nella luminosità, in una luce così pallida da essere quasi bianca. Far seguire altri esempi analoghi: Donna che versa il latte, Donna con la bilancia, Donna che indossa le perle, Giovane donna alla finestra con una brocca, Fanciulla che legge una lettera alla finestra aperta. La pregnanza e l'autosufficienza dell'attimo presente."

Paul Auster, L'invenzione della solitudine

mercoledì 28 agosto 2024

Pasolini, lettera a Franco Farolfi (compagno di scuola e amico di adolescenza)

 Casarsa, agosto 1940

Caro Franco,

del mio lungo silenzio non mi scuso con la mia pigrizia, dato che la pigrizia è scusabile come scusa soltanto fra i parenti anziani; ho aspettato di risponderti, prima per la partenza per Casarsa, poi per lo sposalizio di mia cugina Annie, poi per scrivere a Paria e all’Emilietta a cui avevo delle cose più urgenti da dire.

Sono vuoto e abulico. Gli avvenimenti passano come sempre insulsi, qualche volta commoventi. Lo sposalizio è una bella cosa, ma non ha fatto che confermarmi nelle mie idee contrarie allo sposalizio stesso. Casarsa mi ha deluso, ma del resto ogni cosa mentre è mi delude e quando è passata la rimpiango: ora tutto quello che la campagna mi può dare lo posso avere: pace, ragazze, raccoglimento, prati, ozio, bevute, ed in realtà tutto questo è in mio possesso, ma è sporadico, annacquato da un profluvio di ore vuote e aride. E quanto rimpiangerò quest’inverno le presente giornate, come sempre mi accade! Speriamo venga Paria, quando si è con un amico anche i minuti più soliti e vuoti si possono utilizzare.

Ad ogni modo una cosa bella da essere confusa con un sogno l’ho avuta: il viaggio da S. Vito a qui, in bicicletta (130 km): esso appartiene a quel genere di avvenimenti che non possono essere raccontati senza l’aiuto della voce e dell’espressione. L’alba, le Dolomiti, il freddo, gli uomini coi visi gialli, le case e i sagrati estranei, l’accento estraneo, le cime e le valli nebbiose irraggiate dall’aurora.

Sto leggendo un libro che mi appassiona: l’Iperione di Hölderlin; tocca dei problemi e un divenire di sentimenti e situazioni spirituali che sono per me una bruciante realtà; molte volte mi sembra di sentir parlare me stesso.

In quanto a ragazze non avrei che scegliere; passi per la strada, vedi due morette, le guardi e loro ti dicono: "Ciao bel putel!" Ce ne sono di veramente graziose; ma la mia abulicità e il mio scetticismo vincono qualunque altro sentimento, e sono in aspettativa chissà di che cosa, forse di Paria.

Vado, com’è di prammatica, a giocare a pallone, ma neanche questo mi diverte più come una volta.

Sembrerebbe da quanto ti scrivo che io sia triste e appartato e pessimista, mentre non son mai stato così gaio e così pieno di appetito: forse dipende dal fatto che sto diventando sempre meno intelligente (nel senso comune della parola) e più gazzosa, almeno così mi sembra.

Ti abbraccio

P.P.

Saluti alla tua famiglia

Tratto da: Pier Paolo Pasolini. Vita attraverso le lettere, a cura di Nico Naldini. Einaudi 1994


giovedì 15 agosto 2024

Paul Auster, L'invenzione della solitudine



Ritratto di un uomo invisibile.

"Era assente già prima di morire, e le persone più vicine a lui avevano imparato da un pezzo ad accettarne l'assenza, considerandola il tratto più essenziale del suo essere"
"Se da vivo continuavo ad esaminarlo cercando in lui il padre che non c'era, sento ancora il bisogno di cercarlo da morto. La sua morte non ha cambiato nulla. L'unica differenza è che mi manca il tempo"
"La morte sottrae all'uomo i suo corpo." "...presupponendo che l'uomo continui ad esistere, ma solo come idea, come insieme d'immagini e memorie nella mente di altri uomini. Quanto al corpo, non è che carne ed ossa, un ammasso di pura materia"
"Dietro le quinte della mia memoria: un desiderio di compiere un'impresa eccezionale, di impressionarlo con un gesto dalle dimensioni eroiche"



Il libro della memoria.

"Quando muore il padre, scrive, il figlio diviene padre e figlio di se stesso"
Pascal ("Tutta l'infelicità dell'uomo deriva da una ragione soltanto: non sa star tranquillo nella sua stanza"). La camera da letto di Van Gogh ad Arles, l'apparente tranquillità e l'urlo che sale. Hölderlin per 36 anni nella sua zimmer, dopo la morte d Suzette. La stanza di Emily Dickinson, che non puoi trovare nella casa museo di Amherst, perché già tutta nelle sue poesie. Vermeer, la Donna in Blu (la rappresentazione potente di tutto ciò che non si vede, di ciò che è fuori dalla stanza).
Cicerone, Giordano Bruno, tecniche di memorizzazione degli antichi, attraverso luoghi, immagini. Oggetti che evocano ricordi ed emozioni(Proust). "La memoria: lo spazio in cui le cose accadono per la seconda volta"
"La memoria, quindi, non tanto come passato che racchiudiamo in noi, ma come prova del nostro vivere nel presente. Se un uomo vuol essere davvero presente fra le cose che lo circondano, non deve pensare a se stesso, ma a quello che vede. Deve dimenticare se stesso per essere lì; e da questo oblio nasce il potere della memoria. E' un modo di vivere la propria vita affinché nulla vada mai perduto"
Coincidenze. La natura del caso. Significato o assenza di significato. Vita reale e vita immaginaria. Freud. Collodi ed il suo doppio. Geppetto libera Pinocchio dalla materia. Michelangelo libera Mosè.
Leibniz, tutta la materia è collegata, la lingua è relazione, giocare con le parole, tradurre e rimare (creare e ricreare). "Una parola diventa un'altra parola, una cosa ne diventa un'altra"
"Nello spazio della memoria ogni cosa è al contempo se stessa e qualcos'altro"
"Ciascun libro è un'immagine di solitudine, un oggetto concreto che si può prendere, riporre, aprire e chiudere, e le sue parole rappresentano molti mesi, se non anni, della solitudine di un individuo, sicché a ogni parola che leggiamo in un libro potremmo dire che siamo di fronte a una particella di quella solitudine"
Giona nel ventre della balena, Pinocchio trova Geppetto nel pescecane. Dove si pensa d incontrare la fine, lì c'è la salvezza. Enea e Anchise (e Ascanio).
Padri e figli. Rembrandt e i ritratti del figlio Titus. E il ritratto di Sir Walter Raleigh con il figlio Wat (1602). Anatole Mallarmé. Anna Frank. I bambini della Cambogia. La mostruosità del mondo.
"A. guarda suo figlio e capisce che non deve permettersi di disperare". "Il pensiero del dolore di un bimbo, dunque, è mostruoso ai suoi occhi. Ancora più mostruoso della mostruosità del mondo stesso, perché carpisce al mondo la sua sola consolazione"
"Si dice che gli uomini impazzirebbero se la notte non sognassero; analogamente, se a un bimbo si nega l'acceso all'immaginario, non prenderà mai contatto con la realtà. Il bisogno di storie per un bambino non è meno vitale del bisogno di cibo, e si manifesta con lo stesso meccanismo della fame"
Shehrzad, il racconto che si fa vita.
"Tutte le migliaia di ore che A. ha trascorso con lui nei primi tre anni della sua vita, tutti i milioni di parole che gli ha detto, le lacrime che gli ha asciugato...tutto questo svanirà dal ricordo del bambino, per sempre"
"Ciò che il vecchio gli indica è che i nostri figli sono sempre invisibili. E' la più semplice delle verità: una vita appartiene soltanto alla persona che la vive; la vita stessa esigerà di vivere; vivere è lasciar vivere".









 

domenica 12 dicembre 2021

L'identità


 

L'identità di cui ci parla Milan Kundera, in questo breve romanzo scritto nell'autunno del 1996 e che ho voluto rileggere, è quella che può vacillare quando in una coppia uno dei due inizia a vedere l'altro in modo nuovo, o comunque diverso da come fino a quel momento l'ha visto.

Ciò può capitare per disattenzione, per malinteso, per troppa concentrazione su di sé, o semplicemente perché non ci si è curati abbastanza delle molteplici sfaccettature, siano esse continue, o cangianti, che compongono l'identità dell'amato e che  esigerebbero uno sguardo instancabilmente premuroso, ben oltre l'umana capacità di attenzione e comprensione. "Non staccherò più gli occhi da te. Ti guarderò continuamente".

Ma il gioco di sguardi, in generale e più ancora in una coppia, è gioco di specchi. Osservo e rivelo allo stesso tempo. Se improvvisamente l'identità dell'amato vacilla ai miei occhi, anche la mia identità vacilla. Se non so più chi è l'amato, allora non so bene nemmeno chi sono io: l'opacità e la nebbia che avvolge la sua identità mi appartiene e mi coinvolge.

Il mio sguardo sorpreso e la mia identità improvvisamente fuori fuoco inevitabilmente innescheranno a loro volta  stupore, dubbio e smarrimento nell'amato, in una spirale di reazioni e riflessi dall'uno all'altro che si perde in un labirinto sospeso tra sogno e realtà, immaginazione e ricordi, paura e speranza, fantasia e fisicità, fino al parossismo e al risveglio dall'incubo.

"Lascerò la lampada accesa tutta la notte. Tutte le notti".

Solita grande capacità di Kundera di catturare frammenti di quotidianità e di trasferirli nel mondo dell'astrazione e delle idee.

sabato 25 aprile 2020

Il tunnel, Abraham Yehoshua


Consiglio a tutti questo romanzo dolce e delicato, che con tatto, ironia e naturalezza tocca questioni come il decadimento fisico, la vecchiaia, la malattia e sfiora grandi temi come la convivenza pacifica tra popoli diversi.

La natura, con tutta la bellezza e la crudeltà che la caratterizza, per gli anni del nostro tramonto spesso ci costringe a fermarci, a limitarci, ad affidarci alle cure degli altri, noi che negli anni migliori magari eravamo distratti, assorbiti solo a correre verso mete sempre nuove, senza mai tempo per ascoltare, mai tempo per vedere, per sostare, solo per fare.

La demenza senile, il “rimbambimento” come spregiativamente si potrebbe dire, è in effetti un po’ un tornare bambini, ritrovare il gusto dello stupore e della meraviglia, perdere quell'indipendenza che spesso ci illude di essere onnipotenti, ritrovare il limite e la necessità di doversi affidare agli altri.

E’ un deserto di umiliazione, imbarazzo e mortificazione da attraversare, nel quale fare nuove scoperte e vedere ogni cosa con occhi nuovi. E prima che sia troppo tardi e cali la notte, conviene attraversarlo questo deserto, senza rimpiangere il passato che ci vedeva dominatori, ma guardando avanti, verso l’alba che verrà dopo di noi.

domenica 19 aprile 2020

Tomasi di Lampedusa, Il gattopardo


Sono tornato alle pagine del Gattopardo dopo tanti  anni, trovando la conferma, una volta di più, di quanto sia bello e necessario continuare a leggere e rileggere i classici.

Questa volta ho scelto la versione in audiolibro, splendidamente interpretata da Toni Servillo. Una versione che esalta la parabola esistenziale del  Principe di Salina, quel suo rimirar le stelle a fronte della pochezza delle vicende umane. L’arcinota denuncia del cinismo e dell’opportunismo che caratterizzano ogni epoca di veloce trasformazione (quel “se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi” ormai diventato proverbiale, tanto che ha finito per rinchiudere le bellissime pagine di questo romanzo in un recinto troppo angusto) si trasforma, in questa mia nuova “lettura”, nel disincanto di chi capisce tutti i limiti del vecchio come del nuovo ordine e li osserva con malinconico distacco.

Memorabili i dialoghi nei quali vediamo all'opera il Gattopardo nei suoi rapporti con i Borboni (l’udienza con re Ferdinando) , con i piemontesi  (la visita del prefetto Chevalley, in cui rifiuta il seggio senatoriale), e con i suoi dipendenti (“questi liberalucoli di campagna”) tanto indolenti quanto  calcolatori, avidi e rapaci, che rappresentano il ceto emergente, lesto a cogliere l’occasione per saltare sul carro del vincitore (“le rondini avrebbero preso il volo più presto”), miseri “sciacalletti e iene”, destinati a rimpiazzare i gattopardi e a costituire la futura classe dirigente soprattutto in forza dei loro limiti e della loro inconsapevolezza.

Don Fabrizio si trova più a proprio agio con uomini schietti e sinceri, “snob” ante litteram, come l’organista don Ciccio Tumeo, che sdegnati dal conformismo truffaldino dei tempi nuovi preferiscono aderire tardivamente alla fazione sconfitta (“ero un fedele suddito, sono diventato un borbonico schifoso”) e trova intellettualmente e spiritualmente più stimolante il rapporto con esponenti  di un potere eterno e carico di storia come il gesuita padre Pirrone. Solo per dovere sociale subisce la frequentazione, in tempi diversi, tanto della decrepita aristocrazia in disarmo, quanto dei rozzi e incolti uomini nuovi, come quel don Pietro Sedara che con rassegnato senso di ineluttabilità accoglie persino nella propria famiglia.

A plasmare il romanzo, più che i fatti e gli avvenimenti, sono soprattutto i pensieri del Principe, l’indulgenza verso la debolezza umana (“non era lecito odiare altro che l’eternità”), il continuo richiamo della sensualità (“pecco per non peccare più”) e le numerose riflessioni sulla Sicilia (“questo è il paese degli accomodamenti”), sulla sua storia (“sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori già complete e perfezionate”) e sui siciliani   (“in Sicilia non importa far male o far bene, il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di fare”).

All’ombra del Principe, a movimentare, contestualizzare ed intervallare il flusso principale della narrazione, si consumano anche vicende minori, come lo struggimento dickinsoniano  della figlia Concetta, infelicemente innamorata del cugino Tancredi, o come il dramma privato di  padre Pirrone, chiamato a risolvere nel più tradizionale dei modi una vicenda d’onore che coinvolge la sua famiglia.

In conclusione, un romanzo che pare un monumento alla caducità umana, che si apre nel mese di maggio 1860 tra gli eccessi di un giardino dagli odori fin troppo prepotenti e nauseabondi e si chiude esattamente cinquant'anni dopo nello stesso mese, tra ossa, carcasse imbalsamate e polvere da gettare nell'immondizia.

Non stupisce che alla sua uscita, negli anni ’50 della ricostruzione post bellica, non abbia incontrato lo spirito del tempo, né che molti addetti ai lavori abbiano criticato l’argomento passatista, l’orientamento antistorico, lo stile decadente e poco innovativo. A noi che leggiamo per puro diletto,  Tomasi di Lampedusa regala invece una prorompente sensazione di bellezza e immortalità, tuttora in grado di affascinarci, anche per via del continuo filo di ironia, che non viene mai meno. 
“Ho settantatré anni, all'ingrosso ne avrò vissuto, veramente vissuto un totale di due, tre al massimo. E i dolori, la noia, quanto erano stati? Inutile sforzarsi a contare, tutto il resto: settant'anni”.

lunedì 13 aprile 2020

Sono corso verso il NIlo

“Sono corso verso il Nilo” è un romanzo che nasce dall’impegno civile di ‘Ala al-Awani, dentista, scrittore e attivista del movimento egiziano per la democrazia Kifaya nel quale ha partecipato alla rivoluzione egiziana del 2011.
Indipendentemente dalla tensione morale e dai principi etici che ne stanno alla base, il romanzo mi ha positivamente impressionato per la capacità di tratteggiare un quadro molto ampio della società egiziana in molti dei suoi ceti, da quelli più popolari a quelli appartenenti all’oligarchia al potere. Da questo punto di vista, l’autore riesce ad illustrare in modo più leggero e ad un pubblico più ampio ciò che saggi politici o sociologici o inchieste giornalistiche cercano più faticosamente di raccontare, raggiungendo inevitabilmente un pubblico più ristretto. Inoltre si tratta di un libro letterariamente molto valido, con una storia avvincente nella sua drammaticità, uno stile fresco e godibile, personaggi interessanti e credibili. Non c’è un vero e proprio protagonista, ci sono una decina di personaggi, una decina di storie ugualmente importanti che si intrecciano e si alternano nella narrazione, contribuendo a rendere l’opera corale e avvolgente, ci si sente davvero immersi in un’atmosfera elettrizzante di cambiamento (su cui incombe la cupa consapevolezza di come andrà a finire), arrivando però a cogliere anche le ragioni di chi difende il regime e soprattutto dei moltissimi indifferenti, rappresentati nella loro quotidiana normalità, nella difficile arte di farsi strada nella vita senza mai ribellarsi e rimanendo costantemente vigili e pronti ad approfittare di ogni occasione di progresso per sé e soprattutto per i propri figli.

Ovviamente il tema religioso emerge ad ogni pagina, quasi ad ogni riga, ma in modo naturale, senza le forzature e le semplificazioni che in occidente ci siamo abituati a fare dall’inizio del XXI secolo. L’Islam di per sé non spiega né il regime oppressivo, né la corruzione, né le violenze o le discriminazioni: in nome della fede religiosa si può scendere in piazza per chiedere il cambiamento, oppure stare dall’altra parte della barricata e difendere il potere costituito, oppure tenersi fuori da tutto questo e continuare a fare la stessa vita di sempre. Ciò che l’autore rimprovera al suo popolo è di essere sottomessi non a Dio (in arabo muslim significa “sottomesso a Dio”), ma a chiunque eserciti il potere e di farsi manipolare da chi usa la religione, la corruzione e la polizia segreta per difendere i privilegi dell’oligarchia al comando, che detiene le redini del potere indipendentemente dal leader politico occasionalmente al governo.



Dal romanzo emerge poi anche il volto del fascismo, sempre uguale in tutte le latitudini e in tutte le culture: la repressione violenta e la tortura hanno l’obiettivo di annientare la persona nella sua dignità, di farla sentire una nullità, di mutilarla nello spirito ancora più che nel fisico, perché il fascismo di ogni epoca e paese pretende che non esistano individui, persone, ma soltanto masse indistinte, manipolabili e plasmabili con la propaganda.


In conclusione, un romanzo consigliabile a tutti per la sua qualità letteraria, per l’incisiva rappresentazione di un’importante realtà sociale contemporanea e per l’elevato valore morale che la ispira.

“Questa è la verità, Mazen. Io sono davvero una nullità, tu sei una nullità, tutti i ragazzi della rivoluzione sono una nullità. Ci hanno fatto, e continueranno a farci, tutto quel che vogliono. Ci ammazzeranno, ci violenteranno, ci faranno perdere un occhio con un proiettile di gomma, e nessuno sarà mai giudicato, nessuno mai pagherà. E sai perché? Perché siamo una nullità; perché abbiamo fatto una rivoluzione di cui nessuno aveva bisogno e che nessuno voleva. Lo so che tu credi ancora nel popolo. Io, invece, non ci credo più. Questo popolo, per la cui libertà e dignità sono morti i migliori di noi, non sa che farsene di libertà e dignità. Ti chiedevi il perché di tutto l’odio che abbiamo visto negli occhi degli ufficiali che ci ammazzavano. E’ perché loro detestano quello che noi rappresentiamo. E’ perché noi chiediamo di essere cittadini e non schiavi. Il popolo per cui abbiamo fatto la rivoluzione, Mazen, odia noi e odia la rivoluzione”.