Massimo Carlotto, oggi affermato
scrittore di noir, è stato anche il
protagonista di uno dei casi giudiziari più incredibili della Repubblica
Italiana.
Nel 1976, quando aveva appena
diciannove anni, fu accusato dell’omicidio di una ragazza ventiquattrenne,
Margherita Magello, per il quale si presentò come testimone, rimanendone invece
per sempre unico imputato.
Fu processato undici volte, con
giudizi che hanno coinvolto anche la Corte Costituzionale, venne giudicato da
ottantasei giudici e cinquanta periti, trascorse sei anni in carcere,
rischiandone di morire, fuggì all’estero, in Francia e poi in Messico, dove fu
catturato ed espulso.
Quando si costituì, fece l’amara scoperta che il suo
ordine di cattura era rimasto dimenticato per anni in un cassetto, dove probabilmente
sarebbe rimasto ancora a lungo se lui non fosse rimpatriato.
La “sfiga
giudiziaria”, secondo la definizione di uno dei suoi legali, si accanì contro
di lui in molte forme. Esami di laboratorio e prove a favore misteriosamente
sparite, una riforma del Codice di procedura penale entrata in vigore nel bel mezzo
di uno dei suoi processi, ponendo dubbi amletici ai giudici, un presidente di
corte andato in pensione appena prima di poter recepire l’invito della Corte
Costituzionale ad assolvere l’imputato, con conseguente necessità di
ricominciare daccapo per mezzo di nuovi giudici che sorprendentemente ignorarono
prove a discarico, non ascoltarono le testimonianze ed emisero un verdetto di
condanna.
Tutta la vicenda si concluse solo
nel 1993 con la grazia Presidenziale, dopo che si erano formati diversi
comitati di solidarietà in Italia e all’estero. La famiglia della vittima si
oppose alla concessione della grazia.
Il periodo in cui si svolsero i
processi e la giovanile militanza di Massimo Carlotto in Lotta Continua sicuramente influirono nel dividere l’opinione pubblica e molto probabilmente condizionarono anche i giudici.
Si tratta di uno dei tanti casi
in cui la macchina giudiziaria italiana trasmette la sensazione di obbedire a
rituali e procedure completamente sganciate dal buon senso e di non riuscire a
proteggersi da errori e veri e propri pasticci così clamorosi da far dubitare
che siano dovuti a semplice imperizia.
In queste situazioni perdono tutti, a partire dalle vittime e dai loro famigliari, che dal clamore mass mediatico ricavano ulteriore motivo di dolore.
In queste situazioni perdono tutti, a partire dalle vittime e dai loro famigliari, che dal clamore mass mediatico ricavano ulteriore motivo di dolore.
In una delle sentenze di
condanna, i giudici scrissero che intendevano fare del caso Carlotto “una
storia dignitosa per la giustizia italiana”. Ecco, probabilmente il cittadino
italiano avrebbe più fiducia nella giustizia se potesse sperare in giudici meno
animati dal sacro fuoco di rimettere ordine nel mondo e più propensi a non
distrarsi, ad ascoltare i testimoni, a non perdere le prove, ad attenersi ai
fatti, a cercare di formarsi un giudizio, invece di rimanere fedeli ad un
pregiudizio.
Al cittadino piacerebbe che ogni
giudice si ricordasse che i fatti di cui è chiamato ad occuparsi hanno già provveduto
a seminare una buona quantità di sofferenza nel mondo e che il suo primo
obiettivo dovrebbe essere quello di non aggiungerne dell’altra.
***
Il fuggiasco è il primo “romanzo” di Massimo Carlotto, pubblicato
nel 1994 ed è in realtà è il racconto autobiografico di come vive un “latitante
per caso”, cioè non preparato alla vita clandestina, al contrario degli
appartenenti alla criminalità organizzata o ai gruppi terroristici.
La narrazione di Carlotto non
segue un ordine cronologico, ma procede per temi e argomenti: i travestimenti,
il cibo, il lavoro, la polizia, i rapporti con il variegato mondo degli esuli,
dei clandestini, degli “irregolari”, gli amori, il carcere, i processi.
Lo stile spumeggiante dell’autore
ci sostiene nel proposito di leggere a oltranza, fino ad uno sfinimento che
tarda ad arrivare. Più leggere, ironiche e forse anche un po’ di maniera le
pagine “parigine” della storia, e più cupe, gravi, drammatiche le parti
ambientate a Città del Messico. Molto può dipendere dalle personali esperienze
e conoscenze, ma per quel che mi riguarda difficilmente dimenticherò il Messico
di queste pagine.
Infine, qualsiasi
siano le tue idee sul “caso Carlotto”, dopo questa lettura saranno rafforzate. Se
prima eri indignato, lo sarai ancora di più, se eri dubbioso, sarai ancora più
perplesso, se provavi disgusto, compassione, angoscia, sconforto, il tuo stato
d’animo si ripresenterà più acuto di prima. Non è libro scritto per convincere,
semmai per dividere.
Chi considera la lettura parte
della vita e non un modo di evaderne, in queste pagine troverà pane per i suoi
denti.
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“Non mi interessa una nuova vita, Bulmero. Mi interessa
quella che avevo prima”. (Massimo Carlotto, Il fuggiasco)