Proprio mentre sto leggendo l’interessantissimo
“Patria, 1978-2010” di Enrico Deaglio, mi capita di notare sul Corriere della
sera di qualche giorno fa la notizia che il boss Raffaele Cutolo ha nuovamente ripetuto la
storia, raccontata già oltre vent’anni fa, che la Nuova camorra organizzata
avrebbe potuto liberare Aldo Moro durante i 55 giorni del suo sequestro, e che
qualcuno di molto in alto nella Democrazia Cristiana bloccò l’operazione. Ne ha
parlato anche con alcuni membri della nuova commissione d’inchiesta
parlamentare che dopo 38 anni ancora indaga su questa pagina controversa della
storia del nostro Paese.
Ricordo molto bene i giorni del
1978 in cui si svolse il “caso Moro”.
Frequentavo la V Ginnasio e quel 16 marzo
avevamo “tema in classe”. Ricordo che scelsi la traccia di attualità ed ebbi
modo di parlare del povero Renato Curi, lo sfortunato calciatore del Perugia che
fu stroncato da un infarto durante la partita casalinga con la Juventus. A
quell’epoca, l’unica sezione del giornale che leggevo da cima a fondo, incluse
formazioni, calendari e classifiche, era la pagina sportiva. Al massimo, davo
un’occhiata distratta alla pagina del cinema, indugiando qualche secondo in più
se ero abbastanza fortunato da trovare la locandina dell’ultimo film di Edwige
Fenech.
Eravamo a metà del compito quando
la nostra prof, rientrando sconvolta dalla pausa caffè, disse: ”Hanno ammazzato
Moro!” Le prime, concitate notizie trasmesse per radio erano molto confuse e
dunque in un primo tempo sembrava che nel massacro della scorta fosse compreso
anche il presidente della DC. Io sapevo a malapena chi fosse Moro, ma da quel
momento iniziai a seguire i telegiornali, ad avventurarmi nelle pagine
politiche dei quotidiani e persino a leggere periodici come Panorama e L’Espresso.
Seguii il dibattito sulla linea della fermezza e iniziai a prendere in simpatia
coloro che provarono in ogni caso a salvargli la vita, in particolare il
partito socialista di Bettino Craxi e i radicali di Marco Pannella.
Ricordo anche il 9 maggio. Fu di
pomeriggio, stavamo giocando a calcio, quando un amico ci raggiunse portandoci
la notizia: hanno trovato il cadavere in una macchina. Istintivamente pensai:
“Ora le BR sono finite, hanno chiuso”. Già perché quello era un periodo in cui
lo slogan “né con lo Stato, né con le BR” era discretamente popolare. Ma di fronte
a un esito così ottusamente crudele, chi mai poteva avere ancora dubbi? Le BR
avevano già ucciso in passato e uccisero ancora n via Fani, ma la sensazione fu
che con il greve e scontato epilogo di quei 55 giorni, il terrorismo rosso si
fosse tagliato per sempre i ponti con qualsiasi potenziale e improbabile seguito.
Fa un certo effetto veder
raccolti nelle mille pagine del libro di Deaglio, a poca distanza l’uno
dall’altro, tanti fatti che nella memoria sono invece molto più distanziati,
inevitabilmente più sfocati, alcuni anche dimenticati. Ed è impressionate
vedere il continuo ricorrere, in tanti episodi apparentemente slegati tra loro,
degli stessi personaggi: la mafia, la camorra, i terroristi, la P2, la banda
della Magliana, i servizi segreti.
Eppure la storia d’Italia è stata
anche altro. I ricordi personali sono molto diversi. La selezione dei fatti
potrebbe anche essere diversa. Penso ad esempio ad una veduta aerea su
un’isola. Si potrebbe zoomare sulla spiaggia, soffermarsi sui bambini che
schiamazzano, sulla distesa di carne umana che sfrigola nell’olio, sulle barche
dei pescatori cullate dalla risacca, oppure spostare l’attenzione sul borgo, i
panni stesi, l’ombra che cerca di farsi largo tra il bagliore dei muri, la
strada che si inerpica tra gli ulivi, un cane che attraversa solitario la
piazza. Oppure si può andare più in là, verso il mare aperto, osservare le
vele, la scia dei motoscafi o anche inabissarsi nelle acque scure, andar giù giù
dove solo pochi ardimentosi si spingono per scoprire frammenti di un mondo
“altro” eppure reale, fantastico e misterioso, popolato da inquietanti mostri
marini, anfratti, aculei, vegetali repellenti, affascinanti macchie di colore,
un mondo calmo, angosciante, immobile, regolato da leggi eterne che traggono forza
dalla propria immutabilità. Un mondo che dai più viene conosciuto solo in modo
frammentario, distratto, discontinuo, grazie a qualche fotografia, spezzoni di documentario,
racconti, fantasie.
Deaglio sceglie quest’ultima
prospettiva, giornalistica. Seleziona una concatenazione di avvenimenti che
ogni anno ha conquistato spazio sui giornali e ci mostra come i fatti si siano
continuamente incrociati e scambiati protagonisti, comprimari e spettatori. Ci
suggerisce che mentre noi studiavamo, lavoravamo, giocavamo, ballavamo,
facevamo l’amore, crescevamo i nostri figli, andavamo al cinema o in vacanza, questi
fatti intrecciati hanno costituito un’unica fitta trama che ha caratterizzato
la storia della nostra Patria, ha influito sul nostro destino e ancor più
avrebbe potuto farlo se periodicamente non ci fosse stata l’azione di disturbo di
qualche temerario e solitario incursore, in genere conclusa tragicamente.
Tante altre cose sono successe.
Imprese hanno prosperato e altre hanno chiuso. Si sono alternati periodi di
crisi economica e periodi di ripresa. Ci sono state scoperte scientifiche,
cambiamenti di costume, successi e insuccessi sportivi, fenomeni mediatici. Si
potrebbero quindi raccontare tante storie, tanti “film di carta” (come Deaglio
definisce la sua opera), ognuno diverso dall’altro.
L’unica cosa che difficilmente
mancherebbe da qualsiasi racconto è il ricordo dei momenti topici della nostra
Nazionale di calcio. Nel racconto di mille Italie diverse, questo sarebbe quasi
sicuramente il più frequente tratto unificante.
La versione di Deaglio un po’ mi inquieta (il mio
personale album dei ricordi non è così cupo) ma ugualmente mi intriga. Fa una
certa impressione scorrere il campionario di mostri che si agitavano sul
fondale marino appena qualche miglio più in là, mentre sonnecchiavamo inconsapevoli sul bagnasciuga
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