Archiviata lo scorso week end anche la quarta
edizione di Bookcity Milano, manifestazione che anno dopo anno diventa sempre
più interessante e coinvolgente. La formula degli eventi dislocati in diversi
luoghi della città è molto azzeccata, semmai il dilemma è la scelta ogni volta
pìù dolorosa tra le numerose proposte in programma.
Combinando desiderio di
approfondimento per letture in corso o
appena terminate, curiosità per libri ancora in wishlist, tempo disponibile,
logistica e molti altri fattori, alla fine sono riuscito a partecipare a
quattro iniziative. In ordine cronologico: l’incontro con Nassim Taleb al Piccolo Teatro
Grassi, l’incontro con Corrado Augias ancora al Piccolo Teatro Grassi,
l’incontro con Antonio Scurati e Aldo Cazzullo al Castello Sforzesco e infine
l’incontro con Raul Montanari alla Fondazione Catella.
Nassim Taleb, è l’autore del
celebre Cigno Nero, il saggio in cui spiega l’enorme importanza dell’imprevisto nella vita individuale e nella
storia e nel quale critica le pretese di
economisti, matematici e analisti finanziari di spiegarci il mondo e di
suggerirci cosa è giusto fare o non fare. Pubblicato nel 2007, e ovviamente
diventato un best seller durante gli anni della crisi seguita al caso Lehman
Brothers, il Cigno Nero ha diviso il pubblico e gli addetti ai lavori.
L’ultimo libro di Nassim Taleb è
però Antifragile, nel quale sostiene
che ad essere meglio attrezzato ad affrontare una crisi non è chi è “robusto”,
ma chi è il vero opposto del fragile, ovvero l’antifragile, che significa agile,
snello, poco centralizzato, poco burocratizzato, poco regolato e per questo resistente agli
urti molto meglio di chi è pesante e corazzato.
Meglio una sana e vitale confusione, meglio i litigi e il disordine piuttosto
che una soporifera, illusoria e temporanea quiete destinata a provocare
catastrofi al primo cigno nero in agguato. Antifragile è del 2012 e, sarà un
caso, mai come in questi ultimi anni il linguaggio aziendale, economico e
politico ha fatto uso del termine “resilienza”, che in precedenza era
utilizzato solo da ingegneri e psicologi.
Tra i velluti rossi del Piccolo
Teatro, intervistato da Danilo Taino del Corriere della Sera e da Alberto Foà
di Acomea SGR, Taleb ha spiegato le sue teorie sulla gestione del rischio facendo
riferimento a diversi argomenti di attualità e a interessanti richiami storici.
Le frasi ad effetto:
“Alla fine i numeri mentono sempre, guardate alle
passioni”
“Fidatevi esclusivamente
delle opinioni per cui chi le ha espresse si è preso un rischio”.
Corrado Augias, solo sotto i riflettori sul palco del Piccolo, ha introdotto
il suo libro Le ultime diciotto
ore di Gesù rispondendo poi a numerose domande del pubblico. Augias è un
grande affabulatore, dal linguaggio forbito e capace di arricchire la
conversazione con esempi, aneddoti e citazioni colte e interessanti. Una per
tutte: per rendere l’idea di cosa poteva essere un procuratore delle provincie romane come Ponzio Pilato, Augias
ricorda la definizione che Tacito diede di Felice, procuratore della Giudea ai
tempi di Paolo di Tarso: “esercitò il
potere di un re con lo spirito di uno schiavo”, frase immensa e potente, come
spesso accade con Tacito.
Augias definisce la sua ultima
fatica come “un romanzo non-fiction”, ovvero un romanzo non di pura
immaginazione. Per alcuni personaggi, in particolare Pilato e Giuda Iscariota,
l’apostolo che tradì Gesù, ha voluto ristabilire un po’ di verità storica,
togliendoli dalla luce ambigua che su di loro viene indirizzata dai Vangeli
canonici. In particolare il Vangelo di Matteo, scritto dopo la distruzione del
Tempio di Gerusalemme nel 70 e nel quale si percepisce la voglia di compiacere gli
occupanti romani. Per altri personaggi, in particolare Giuseppe e Maria, di cui
i Vangeli parlano pochissimo, ha cercato di raccontare semplicemente un
padre e una madre. Alla richiesta di una spiegazione del suo interresse, da non
credente, per i temi religiosi, Augias risponde sagace: “Perché ormai privo di
riferimenti ideologici e politici a cui ispirarmi … ho guardato più in alto!”
Nell’ampio spazio del Cortile
delle Armi del Castello Sforzesco, sotto la tendopoli dell’Auditorium, Antonio Scurati e Aldo Cazzullo hanno conversato sui rispettivi libri, Il tempo migliore della nostra vita e Possa
il mio sangue servire, intervallati dalle letture dei brani fatta con
maestria da Anna Nogara.
Il messaggio che hanno trasmesso
forte e chiaro è che la generazione dura e tosta che ha fatto la Resistenza è
un modello per i giovani d’oggi molto più di quanto lo sia la generazione degli
attuali padri, cresciuti negli anni del benessere e dello sviluppo economico
(Cazzullo è del 1966, Scurati del 1969). Una generazione, quella dei baby
boomers, incapace di pensarsi al plurale, di fare delle cose insieme, di dire
“noi”. Dunque per trovare gli “eroi” bisogna voltarsi indietro, guardare al
passato, saltare gli errori e le deviazioni della generazione che ha fatto il
’68 e arrivare dritti dritti ai tempi duri della guerra, del fascismo, della
resistenza, della povertà, della ricostruzione. A Cazzullo sembra che le
preoccupazioni dei padri rispetto ai figli si siano trasformate di pari passo
con la crescita del benessere e l’abbassamento della tensione morale. Infatti
osserva che la generazione dei nostri nonni era ossessionata dal cibo, la loro
preoccupazione era innanzi tutto sfamare la famiglia. La generazione dei nostri
padri invece era ossessionata dallo studio: voleva che i figli studiassero,
perché avessero un avvenire migliore. Ora la generazione nata a cavallo degli
anni sessanta e settanta è ossessionata dal fatto che i figli siano felici e
che non provino il minimo dispiacere. Chiosa finale di Scurati: sembra che
l’ossessione del cibo sia tornata alla grande da qualche anno a questa parte …
(Come negarlo?)
Atmosfera più raccolta alla
Fondazione Catella, dove Raul Montanari ha
parlato e letto brani del suo ultimo romanzo Il regno degli amici, supportato e guidato dalle ottime domande di
Selvaggia Lucarelli.
Il romanzo affronta il mondo
degli adolescenti, un’età in cui l’uomo, molto più che la donna, scopre una
volta per tutte la propria identità, per non allontanarsene più. Mentre la
donna ha un rapporto più sano con il trascorrere del tempo, l’uomo rimane per
tutta la vita legato a quell’ ”io” conosciuto da ragazzo, generalmente in modo
traumatico (“il danno”), ascolterà pateticamente sempre la stessa musica,
manterrà gli stessi gusti, etc.
L’adolescenza è ovviamente anche l’età delle grandi domande filosofiche,
fatte con una purezza mai più eguagliata, ed è soprattutto l’età in cui si
affrontano come su un ring l’amicizia e l’amore. Per il Montanari adolescente
qual è stato il danno? La scoperta che in amore non vale il merito. “Ho provato
cosa significa pensare di valere poco nel grande mercato dell’amore”,
La chiacchierata prosegue poi
piacevolmente spaziando dal personaggio totemico dei romanzi di Montanari (Ric
Velardi) alle caratteristiche della sua scrittura: “alcuni mi classificano
erroneamente nel genere noir, ma io non gli appartengo, perché a parte il ritmo
serrato che a volte può avere la mia scrittura a me non interessano gli elementi
che normalmente caratterizzano un noir, e cioè le indagini della polizia, il
rendiconto alla giustizia, etc. A me interessa il dentro e non il fuori”.
Raul Montanari gestisce anche una
nota scuola di scrittura creativa e non può mancare qualche domanda al riguardo,
a cui risponde partendo da una citazione di Stephen King: “il talento è una
merce che si vende a chili, come il sale; la differenza la fa la determinazione”.
La tecnica si può apprendere a scuola, risparmiando così anni di lavoro, e unita
alla determinazione ti può portare dove vuoi. La scrittura nasce comunque quasi
sempre dal dolore, dal non sentirsi a posto con il mondo. C’è del vero nel
detto “o scrivi o vivi”. Scrivere è sempre un no. Se uno si sente in armonia
con il mondo, difficilmente scrive, al massimo dipinge.
Tra il serio e lo scherzoso,
racconta infine di come lui stesso sia stato molto aiutato da Aldo Busi,
durante un periodo molto difficile della sua vita, nei primi anni novanta. Busi
gli faceva lunghissime telefonate quotidiane, regalandogli alla fine alcuni insegnamenti
che gli hanno fatto compiere progressi enormi. Ma con un monito: “guarda che le
storie prima o poi finiscono, io ne ho cinque, dopo non resta che ripetersi …”
Una curiosità: le due passioni di
Raul Montanari (a parte la scrittura, che non è una passione, ma è la sua vita)
sono gli scacchi e la pesca con la mosca. Cos’hanno in comune? Niente, solo il
fatto che gli sono state trasmesse da due differenti zii.
In conclusione, quattro incontri molto
interessanti, in ognuno dei quali il tempo è volato, in luoghi dove è sempre
bello tornare, dove si sono conosciuti da vicino gli autori, si sono raccolte
informazioni e curiosità e soprattutto si è rafforzato il significato della
lettura. Quando la parola esce dalla pagina scritta, si amplia, si completa e si
collega più facilmente all’esperienza di vita.
Arrivederci al prossimo anno!
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