Il cacciatore di aquiloni di
Khaled Hosseini, uno dei best seller internazionali più amato in Italia, è una
storia molto coinvolgente a livello emotivo, con personaggi che si imprimono
bene nella mente e che affronta temi che da sempre abitano il cuore umano e
catturano l’attenzione dei lettori, in una ambientazione tanto affascinante
quanto drammatica come l’Afghanistan degli ultimi decenni.
Si può provare a spiegare il
successo del libro proprio con questa felice combinazione: i grandi ed eterni
valori su cui l’uomo si interroga (il coraggio, la fedeltà, il tradimento,
l’amicizia, la colpa, la famiglia) interpretati in un contesto che è allo stesso tempo lontano e vicino.
Lontano quanto basta per poter offrire al lettore occidentale un viaggio in una
civiltà diversa e affascinante, ma anche assolutamente vicino e presente nella
vita di tutti, dalle Torri Gemelle in poi.
E’ un libro scritto benissimo, che
commuove, indigna, stupisce nonostante alcune banalizzazioni che non saprei
dire se siano dovute più ad un difetto o a un eccesso di mestiere. Propendo per
la seconda ipotesi, ma trovo che la furbizia non sia qualità necessariamente
censurabile in un romanziere.
Per dire, il “cattivo” che fin da
piccolo ammira Hitler e poi diventa un capo talebano (nascondendo i suoi freddi
occhi azzurri dietro occhiali alla John Lennon) fa un po’ sorridere, ma non è
da escludere che abbia contribuito anch’esso a trainare le vendite. Lo stesso
cattivo, preparandosi al duello finale con il suo antagonista, annuncia ai suoi
giannizzeri: “uno solo tra noi due uscirà vivo da questa stanza: se è lui ad
uscire, lasciatelo andare”. Una frase
che nell’immaginario collettivo evoca chilometri di pellicole “western”.
Anche la preveggenza di papà
Baba, che nel lontano 1975 si augura che il suo Paese non debba mai essere
governato dai mullah, non sembra molto credibile: però è affermazione di sicura
presa su noi occidentali, abituati per anni a considerare la barba di Bin Laden
come l’autentica bandiera dell’Afghanistan.
Si potrebbero fare altri esempi
di scarsa “autenticità”, ma si rischierebbe di fermare lo sguardo al dito
invece che rivolgerlo alla luna.
Perché Il cacciatore di aquiloni
è romanzo che funziona e lascia il segno. Si sente il
profumo di culture, di tradizioni e di popolazioni antiche, a cui viene
spontaneo calcare ogni zolla della loro terra con una fierezza, un’intensità e
una consapevolezza di sé da suscitare grande rispetto e ammirazione. Noi
occidentali non ci siamo più abituati, non si può dire che sia il tratto
dominante dei nostri pensieri e dei nostri sentimenti.
Partecipiamo alle vicende di
Amir, di Hassan, di Ali e di Baba con grande trepidazione, in qualche punto
tratteniamo il fiato, proviamo sgomento, angoscia, stupore, meraviglia. Ci
lasciamo trasportare dalla poesia degli aquiloni in volo, una poesia resa più
struggente per il fatto che sappiamo bene in che modo l’incanto sia stato
spezzato. E poi si piange, in qualche pagina il groppo in gola si fa troppo
forte.
Libro che fa anche riflettere?
Non più di tanto. Sui temi di cui tratta non si va molto sotto la superficie.
Hosseini li utilizza per caratterizzare i personaggi che, non a caso, tendono
ad avere poche sfumature. E quando finalmente compare una contraddizione dentro
uno di loro, una di quelle di cui è piena la vita, la storia avverte una sorta
di potente movimento tellurico. E’ il caso di Baba, prima e dopo la grande
rivelazione.
Chiudo con un dettaglio (i
dettagli a volte spiegano molte cose): Sanaubar,
la madre di Hassan, mi ricorda un po’ la madre di Esmeralda in Notre-Dame de
Paris. Fatte le debite proporzioni, c’è più di un’ analogia nei due personaggi e
soprattutto nei melodrammatici ritrovamenti della prole perduta, anche se all’infelice
e scellerata Sanaubar è stata data in sorte una fine più dolce (e almeno le è
stata risparmiata l’esecuzione del figlio). Le invenzioni letterarie, come le ricette di
cucina, sembrano infinite ma gli ingredienti non lo sono. E dunque spesso si rielabora, si ricompone, si toglie una
spezia qua, si aggiunge una salsa là, si trovano abbinamenti nuovi e originali.
Con semplicità e gusto per la
narrazione, Hosseini è riuscito a darci emozioni, a farci viaggiare e conoscere
luoghi e persone che ricorderemo. Senza la pretesa di entrare nella grande
letteratura, ma con la giusta ambizione di piacere a molti.
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