Un lungo, intenso soliloquio, con parole pronunciate quasi
sottovoce, in una notte davanti al fuoco del caminetto. Parole chiare, precise,
cristalline, che vanno dritte al bersaglio, che traggono potenza ed energia dalla
lunga attesa, che si sono incise nella mente e nel cuore di chi le pronuncia da
oltre quarant’anni. Quarantun anni e quarantatre giorni, per la precisione.
Un interlocutore che ha trascorso una vita ai Tropici e si
chiama Konrad (del resto, l’unico suo contributo alla conversazione è una suggestiva
descrizione del mal d’Oriente, descrizione che sembra tratta dal grande
romanziere polacco). E anche il nostro Konrad ha ascendenze polacche ed è
perfino lontano parente di Chopin. La musica, la sensibilità, la “diversità”,
la fedeltà ai principi o alle proprie passioni, il senso profondo dell’amicizia, l’odio, il tradimento, i diversi tipi di fuga, di silenzio e di
allontanamento dal mondo, che poi sono un modo diverso per celebrare la
passione che ha dato il senso alla nostra vita.
Sono questi gli ingredienti principali di un romanzo tutto
al maschile, un duello preparato meticolosamente, una caccia interrotta
quarantun anni prima e che riprende sotto altre forme, con lo stesso gusto per i
preparativi, lo stesso piacere sensuale nel dirigere l’arma verso la vittima,
arricchito e potenziato dalle riflessioni amare di una vita. Due sole figure femminili di rilievo. Una è
poco di più di un fantasma, totalmente funzionale alla storia e alla vivisezione
dell’anima dei due protagonisti. La seconda sembra una figura allo stesso tempo
concreta e magica, fragile e dotata di poteri paranormali: appare e scompare, e
segretamente sorveglia, dall’alto dei suoi novantun anni, che i due ragazzi quasi ottuagenari non si
strapazzino troppo. Perché ci vuole sempre, nella vita, una presenza saggia che controlli le nostre passioni e ci
chieda se ne vale davvero la pena, che ci ricordi che quando il fuoco smetterà
di ardere ci troveremo infreddoliti e a
disagio, con tutte le medesime domande di senso di prima.