E’ proprio vero che l’adolescenza
ti lascia addosso cicatrici di cui porterai per sempre il segno.
Quando pensi che di quel mondo
lontano ti siano rimaste soltanto una manciata di foto sbiadite, qualche copertina
di LP che conservi nostalgicamente come un cimelio e un pugno di amicizie su FB, ci pensano i figli a riportarti indietro
nel tempo, a ribollirti nei contorcimenti di questa età tenerissima e violenta,
nella quale sembra che ti devi giocare tutto, e tutto è buio cieco oppure luce
accecante, ti senti un dio oppure l’ultimo degli esseri viventi, giudichi
spietatamente gli altri e te stesso, e per ogni capovolta dell’umore è
sufficiente un brufolo in più, un appuntamento mancato, uno sguardo che indugia
due secondi invece di uno.
E mentre guardi stralunato i tuoi
figli che con violenza e ferocia ti riportano in quella foresta di emozioni,
non ti passa nemmeno per la testa di chiederti: “ma io ero davvero così?” perché
troppa è la preoccupazione che passino indenni questo guado, che la sfida che
incoscientemente lanciano al destino li fortifichi e non li atterri e preghi che
l’impulso autodistruttivo sia una febbre che li vaccini per sempre verso quelle
fragilità che incombono su di loro come pericolosi e oscuri cavalieri neri.
Il regno degli amici è un
avvincente romanzo che parla di quell’età bellissima e maledetta. Dove “l’amore
e l’amicizia si sfidano come su un ring”, per usare le stesse parole di Raul
Montanari. Quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo. Non andavano al
bar i quattro protagonisti della storia, ma in una catapecchia sulla Martesana,
uno di quei luoghi, “di quelle pieghe del mondo – per citare nuovamente l’autore
– che spesso nelle città si trovano vicino alle ferrovie e vicino all’acqua”.
Romanzo che per i primi due terzi
procede leggero tra umorismo e ironia, mentre nel finale vira decisamente sul
drammatico perché ogni uomo ha “un’essenza poetica, un’esistenza comica e una
fine tragica” e se scrivere è sempre un atto di dissenso verso il mondo,
maturità è anche descrivere la vita in tutte le sue sfaccettature, senza
spegnere la rabbia, ma senza trascurare il resto.
Un incontro fortunato con questo
romanzo e con questo autore, una storia ruvida, che ti lascia l’amaro in bocca,
quel che ci vuole per qualche boccone indigesto che talvolta nella vita ci
capita di dover ingoiare.