Cosa c’è dietro l’abiura che nel 1633 Galileo Galilei
pronuncia davanti all’Inquisizione? Niente, solo ciò che si vede e che è
immediatamente comprensibile senza dietrologie: semplice paura del dolore
fisico.
Bertolt Brecht ci consegna in questo dramma un ritratto
realistico e materiale dello scienziato pisano che dialoga con il popolo, è
afflitto da preoccupazioni economiche, non è privo di scaltrezze e senso
pratico, beve vino, apprezza la buona tavola, scrive le sue opere in volgare
anziché nel latino dei dotti, strapazza e si fa strapazzare dalla sua
governante, ma soprattutto ha davanti a sé l’evidenza di una nuova era
destinata a cambiare il mondo e tuttavia deve dissimulare l’eccitazione e
barcamenarsi tra pericoli, trappole e fastidi di ogni genere.
Nel corso delle quindici scene, dove c’è spazio anche per
battute di spirito e passaggi
divertenti, si scivola dalla commedia al dramma, per giungere infine ad un interrogativo sul ruolo degli
scienziati nella società.
Brecht prima ci fa familiarizzare con il sanguigno
scienziato accompagnandoci nel tinello di casa sua, lontano da cattedre, muffa
e polvere. Poi ce ne mostra la grandezza, soprattutto nella rivoluzionarietà
delle sue scoperte e nella sua lotta senza speranza contro le forze della
conservazione (Galilei: “Signori, ve ne prego in tutta umiltà: prestate fede ai
vostri occhi”. Matematico: ”Caro Galilei, ho ancora l’abitudine, anche se possa
apparirvi antiquata, di leggere ogni tanto Aristotele: e, ve ne assicuro,
quando lo leggo, credo ai miei occhi!”). Facciamo il tifo, trepidiamo, ci
immedesimiamo, vorremmo che andasse a Roma e li stendesse tutti e poi, di
fronte al suo cedimento, ci rifugiamo nel complottismo (l’avrà fatto per
continuare a studiare! Per continuare a scrivere libri!) e rifiutiamo di usare
gli occhi, rinnegando il suo insegnamento.
Bertolt Brecth vuole dirci che l’umana debolezza di Galilei
è gravata di una grande responsabilità. La colpa di cui Galileo si è macchiato
abiurando, secondo il grande drammaturgo, è di aver svuotato la scienza del suo
significato sociale, di averla rinchiusa nel recinto delle dispute tra
specialisti, fuori da ogni controllo e coinvolgimento popolare, e dunque libera
di accettare ogni condizionamento e compromesso con il potere.
Brecht scrive la terza e ultima versione di Vita di Galileo
dieci anni dopo il lancio della bomba atomica a Hiroshima e Nagasaki, con il
mondo diviso in due blocchi contrapposti, ognuno dei quali ha costruito un potente apparato
scientifico, militare e accademico per affermare la propria supremazia sul
mondo. In Galileo egli vede l’autore del peccato originale che pesa sulla
coscienza di ogni successiva generazione di scienziati. “La bomba atomica, come
fenomeno tecnico non meno che sociale, è il classico prodotto terminale delle
sue conquiste scientifiche e del suo fallimento sociale” (Bertolt Brecht, Note
alla Vita di Galileo).
Nella prima versione, completata in esilio nel 1938, Brecht
rappresenta l’abiura di Galileo come un’astuzia per poter continuare a lavorare
senza essere molestato dai suoi persecutori . Si tratta di un pensiero rivolto
agli antinazisti rimasti in patria, perché continuino a vivere senza farsi
scoprire sotto Hitler. Ma dopo gli orrori della guerra e in piena corsa verso
il baratro delle superpotenze vincitrici, Brecht ci toglie ogni speranza.
L’ex allievo Andrea ancora si illude e dice al suo maestro:
“Volevate guadagnar tempo per scrivere il libro che solo voi potevate scrivere.
Se foste salito al rogo, se foste morto in un’aureola di fuoco, avrebbero vinto
gli altri”.
E Galileo: “Hanno vinto gli altri. E un’opera scientifica
che possa essere scritta da un uomo solo, non esiste”.
“Ma allora perché avete abiurato?”
“Ho abiurato perché il dolore fisico mi faceva paura”.
Con l’abiura, Galileo si conquista la possibilità di
continuare a studiare per assecondare una sua personale voglia, un suo privato
vizio e di ciò prova vergogna, consegnandosi sconfitto alla storia: “Se gli
uomini di scienza non reagiscono all’intimidazione dei potenti egoisti e si
limitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per
sempre, ed ogni nuova macchina non sarà fonte che di nuovi triboli per l’uomo.
E quando, coll’andar del tempo, avrete scoperto tutto lo scopribile, il vostro
progresso non sarà che un progressivo allontanamento dall’umanità.”
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