Strateghi, islamisti, sociologi, antropologi,
intellettuali di vario tipo, un ricco apparato scientifico dedito allo
studio, alla previsione e al controllo dei rischi che corriamo, per
capire se siamo in guerra o se possiamo ancora sperare in
bene. Li rispetto e soprattutto rispetto il loro lavoro, la loro
competenza. Ma la mia indole poco scientifica, la mia convinzione che
per credere non bisogna per forza toccare e che per conoscere serve
qualche esperimento in meno e qualche riflessione in più, mi porta a
preferire la visione che dei nostri giorni ebbe un poeta, uno scrittore,
un regista che aveva previsto tutto, anche l'Isis, anche i bambini che
uccidono, anche le bambine usate come bombe al mercato.
Pier Paolo
Pasolini, nella sua trasposizione cinematografica della Medea di
Euripide nel 1969, riuscì a raccontare l'epoca in cui viviamo con mezzo
secolo di anticipo.
Nelle scene iniziali del film si assiste alla
crescita e all'educazione di Giasone che, sotto la guida del centauro,
raffina progressivamente le proprie convinzioni religiose, fino a
liberarsene del tutto.
Poi parte alla conquista del vello d'oro,
eroe di una società completamente secolarizzata che viaggia, conquista,
commercia, sottomette. Niente per lui è sacro a parte l'uomo e il suo
benessere. E' certamente sacra la vita. E' certamente sacra la libertà,
tutte le libertà. Ma i sentimenti degli altri, quelli non sono sacri.
Soprattutto se si tratta di sentimenti religiosi, perchè essi
rappresentano l'antico, il primitivo, l'incivile, dunque possono essere
calpestati, dileggiati, disprezzati, vilipesi. Oppure trascurati,
ignorati, messi da parte come poco importanti, come una irrilevante
escrescenza destinata a guarire da sè.
Medea è l'opposto; è maga in
un villaggio dove gli dei, gli spiriti, la religione sono sacri e
l'uomo non lo è , la vita umana non lo è: infatti nel villaggio si
compiono sacrifici umani. Gli dei sono tutto, l'uomo è niente.
Gli
uomini e le civiltà sono portate a incontrarsi e a scontrarsi, si
attraggono e si respingono. Giasone e Medea si uniscono in matrimonio,
il mondo si restringe, il seme della globalizzazione è gettato, Medea
segue Giasone e si stabilisce a Corinto, crocevia di marinai, viandanti e
mercanti, la più libera e libertina delle città antiche. Le società
diventano multietniche, Medea dà dei figli a Giasone, i figli
dell'integrazione, gli immigrati di seconda generazione.
Tra le vie
di Corinto Medea, senza più radici, con un burqa mentale a offuscare il
suo sguardo, si sente tradita, vinta, costretta a promiscuità con gente
che disprezza e che la disprezza o peggio la compatisce. Fuori dal suo
villaggio i suoi valori, i suoi sentimenti non contano, non sono niente,
e Giasone è distante, vive sotto il suo stesso tetto, ma è risucchiato
da un mondo che a Medea è estraneo e ostile.
La ribellione cova
sotto la cenere e quando esploderà sarà terrbile, una catastrofe contro
natura, il più atroce dei delitti, la madre che uccide i propri figli.
Insomma nell'anno di grazia 1969, in piena Guerra Fredda, quando tutto
l'apparato militare-strategico-intellettuale studiava scientificamente,
simulava e sperimentava i rischi di un conflitto tra superpotenze, un
visionario che non aveva studiato a Berkeley, forte soltanto della sua
cultura classica e della sua spiccata sensibilità, riuscì a spiegarci la
società del XXI secolo, il delirio di onnipotenza dell'uomo
secolarizzato, la selvaggia ribellione degli sradicati, il rogo a cui ci
condanniamo se ci mettiamo a calpestare ogni valore, ogni sensibilità,
ogni ideale che non sia gradevole al nostro palato e alla nostra idea di
progresso.
Tanta roba, per essere solo un film. Ma dietro ci sono
Euripide e anche le traiettorie dell'animo umano, che sono le stesse di
sempre.
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