Se Anna Karenina fosse soltanto la storia di un adulterio
finito male, non avrebbe richiesto più di ottocento pagine per essere
raccontato, nemmeno nel XIX secolo.
E, nonostante il titolo, è riduttivo considerarlo il romanzo pieno di umana comprensione sui
tormenti di una donna oppressa da una società ipocrita e perbenista.
Da una parte Anna Karenina
ci appare come una farfalla
imprigionata dietro un vetro: Tolstoj descrive minuziosamente, e dall’interno,
il suo penoso affannarsi e dibattersi per tentare una via d’uscita, fino ad
esaurirsi e scivolare nell’abisso dell’autodistruzione. Nello stesso tempo dipinge un grandioso affresco dei tipi umani
che compaiono al di là del vetro, figure e personaggi certo presenti nella
società russa del suo tempo, ma in qualche modo paradigmatici di tipi umani che
sono sempre esisti e sempre esisteranno.
In più, attraverso il personaggio di Konstantin Levin, ci
anticipa parte dei suoi personali tormenti, ci fa intravedere quella crisi
interiore che in lui scoppierà solo qualche anno più tardi, portandolo a scelte
di vita importanti e piene di conseguenze per sé e per i suoi familiari.
La cosa affascinante è che tutti i personaggi principali del
romanzo possono essere visti come degli “opposti” ad Anna, ognuno per motivi
diversi.
Il primo personaggio che troviamo in scena è Stepan
Arkadevic Oblonskij, il fratello di Anna, il farfallone capace di vivere con
leggerezza e di farsi perdonare i suoi numerosi tradimenti, l’astuto e ozioso
funzionario che ha fatto parte del ventre molle della burocrazia di ogni tempo
e di ogni paese, l’amicone gioviale, generoso e sincero,il viveur spensierato e
spendaccione, il padre sempre pronto a
giocare con i propri figli, cui tutto
concede. E’ un vero artista nello
schivare ogni fatica, ogni problema, ogni fastidio. Lascia volentieri alla moglie
la parte più dura e faticosa del menage familiare. Stepan Arkadevic scivola con
leggerezza nella vita e nelle sue contraddizioni, al contrario di Anna, che ci
affonda. Tutti abbiamo conosciuto almeno uno Stepan Arkadevic nella nostra
vita, e anche più di uno.
La moglie di Stefan Arkadevic è Dar’ja Aleksandrovna (Dolly).
Il suo modo di essere opposta ad Anna è tutto nel suo stare con i piedi ben
saldi a terra. Donna pratica, concreta, laboriosa, senza grilli per la testa , Dolly
porta sulle sue spalle tutto il peso di una famiglia e di un marito svagato e
cornificatore. E’ l’angelo del focolare,
che ascolta tutti, che comprende tutti , ha una parola per tutti. Un angelo
fragile ed energico, sanguigno e ogni tanto sanguinante, che piange, si
arrabbia, pensa di non farcela e invece riesce sempre. Tutto la divide da Anna,
due modi opposti di essere donna. Dolly ne
è allo stesso tempo affascinata e contrariata, un po’ la compatisce e un po’ la
invidia. Dolly vede in Anna cosa avrebbe potuto essere se non fosse stata
Dolly.
Dolly è una delle sorelle di Katerina Ščerbackaja (Kitty). Troviamo Kitty all’inizio
del romanzo, ragazzina. Tutte le
ragazzine di ogni epoca e di ogni latitudine del globo sono state Kitty almeno
una volta nella loro vita. Lo sono state quando si sono innamorate dei Beatles,
dei Duran Duran e dei One Direction. Nella Russia del XIX secolo c’erano invece
il valzer, la polka e giovani ufficiali
che facevano volare la loro fantasia. Piccole donne crescono e anche Kitty
passa attraverso cocenti delusioni, scelte sbagliate, esperienze che le
forgiano il carattere. E quando arriverà
ad innamorarsi di un uomo difficile, ombroso, con un fitto strato di rovi a
proteggere la sua ricchezza d’animo, avrà già acquisito la personalità
necessaria a fargli dare il meglio di sé. Riuscirà ad essere meravigliosa e immensa
quando si troverà, proprio lei apparentemente così fragile, a prestare le
ultime cure al cognato Nikolaj Dmitrievic, un reitetto respinto da tutti. Kitty è la storia di una formazione. La
conosciamo da ragazzina, abbagliata dalla lucentezza di Anna, che le appare
donna piena di vita, affascinante, matura,
eccezionalmente dotata di savoir faire-. Pagina dopo pagina seguiamo le due
opposte parabole e alla fine, quando tornerà la quiete dopo la tempesta, sarà proprio
la stella di Kitty a brillare forte nel cielo.
Anche quella di Konstantin Dmitirevic Levin è la bella storia di un’evoluzione
sofferta e ben riuscita, che fa da controcanto all’involuzione e allo
smarrimento di sé impersonate da Anna. Konstantin
è l’eroe positivo del romanzo (sue
saranno anche le parole conclusive, lo sguardo avanti dopo la tragedia). L’uomo che partendo dagli anfratti bui in cui
aveva nascosto la sua anima , riesce a ritrovare se stesso, perché inizia una
sua personale e faticosa ricerca, ma soprattutto perché trova la donna giusta.
Un amore che salva, contrapposto ad un amore che travolge e distrugge.
Aleksej Karenin, intelligente,
colto, abile, onesto, potente, rispettato e stimato da tutti. E’ tuttavia un
uomo che la vita ha reso completamente anaffettivo. Il tradimento di Anna è come un colpo di
vento che spalanca le finestre e scompiglia l’ordine perfetto della sua vita
senza vera vita. E’ un fastidioso accidente che vorrebbe scacciare, allontanare
al più presto perché troppo impregnato di materia, e Karenin invece si trova a suo agio soltanto
nel suo ordinato universo mentale. Ovviamente la sua prima preoccupazione va al decoro,
all’etichetta, al buon nome. Eppure non
è un ipocrita: è uomo sinceramente attaccato a buoni principi, che cerca di essere giusto e persino generoso. La
sua predisposizione a ricercare il bene
lo porterà, in una notte sconvolgente, a
superare i vincoli imposti dal perbenismo e dal moralismo benpensante e a porgere
evangelicamente l’altra guancia, a dare una tale prova di altruismo e
magnanimità da soverchiare completamente Anna e il suo amante. Una ne rimarrà
soffocata, confusa e annientata, l’altro sarà spinto a tentare il suicidio. Ma
Karenin non capisce l’unica cosa che invece sarebbe necessario capire: per
riconquistare Anna non gli è richiesto di trasformarsi in un campione di magnanimità,
ma semplicemente di amarla. E invece lui è uomo completamente incapace di amare, questo
è il suo modo di essere opposto ad Anna, questa è la sua personale tragedia, da
cui derivano tutte le altre.
Infine Aleksej Vronskij:
l’altra metà della mela di Anna, il seducente e fascinoso tambeur de femme, l’ufficiale cinico e rapace.
Ma Anna fa sul serio e lui rimane invischiato suo malgrado. I due sono fatti
apposta per trovarsi e rovinarsi. Eros e thanatos, amore e morte all’opera, ma con una differenza. Basta solo un
briciolo, un infinitesimo di convinzione in più o in meno e ci si ritrova su due
sponde opposte. Entrambi, in momenti diversi, obbediscono all’impulso di
togliersi la vita. Vronskij lo fa per
primo, ci crede davvero ma fallisce e quell’episodio strappa definitivamente Anna dai resti della sua vita
precedente. Mentre affonda, Vronskji afferra la mano della sua donna e la
trascina con sé. Anna invece non fallisce
e non trascina il suo amante con sé. Lo
restituisce piuttosto alla vita, naufrago risputato dal mare dopo la tempesta,
e al senso di colpa.
Questo per limitarci alle figure in primo piano, ma
nell’affresco c’è molto altro. Anna è anche madre e alcune delle scene più
toccanti del romanzo riguardano il rapporto con il figlio Serëža. Ci
sono le principessine dei circoli mondani, le nobildonne bigotte, i
latifondisti, i contadini, i professori universitari, i politici,gli ufficiali
e tutto quanto occorre per far scorrere la storia con la maestosa e tranquilla
bellezza del Volga.
Nessun commento:
Posta un commento