Viaggio molto interessante nel
Partito Comunista Italiano nel periodo della sua massima forza elettorale e
della sua capacità di influenza nella società italiana.
Un “mistery”, una storia a cui
partecipano personaggi fittizi e reali e che incrocia fatti realmente accaduti
a vicende totalmente inventate.
Lodovico Festa, ex dirigente del
PCI milanese e successivamente co-fondatore de “il Foglio”, ci mostra dall’interno
il funzionamento di un sistema che, molto prima di trasformarsi in una “giocosa
macchina da guerra” e perciò affondare e disperdersi mestamente in tanti
rivoli, fu un caso impressionante di stato nello Stato, una struttura di potere
efficientissima e capillarmente ramificata, proiettata verso obiettivi politici
forti, e in grado di interloquire alla pari e riservatamente con altre
strutture di potere del nostro Paese come la Chiesa Cattolica, le forze dell’ordine,
i giornali, e di condizionare interi settori della società civile come la scuola,
le università, la cultura.
Con il pretesto di narrare l’indagine
parallela (della polizia e del partito) sull’omicidio di una militante alla
fine del 1977 (pochi mesi prima che con il caso Moro in Italia cambiassero
molte cose) l’autore ci accompagna nel suo vecchio mondo, permettendoci di
osservare in presa diretta ciò che finora potevamo soltanto immaginare. Vengono
mostrate, tra le altre cose, la complessità e l’ambiguità, l’idealismo e la
doppiezza, la potenza e i germi del successivo decadimento, la disciplina e la
passione, il culto per l’efficienza e la riservatezza, la precisione e il
tatticismo e soprattutto la fitta rete di relazioni, che permetteva di
dialogare senza chiasso con tutti e su tutto. Una grande storia indubbiamente,
che merita rispetto e che suscita inquietudine.
Avesse scritto un saggio, sarebbe
stata probabilmente una mattonata che ti dovevi fermare a metà del titolo.
Invece Festa ci porta dentro le cose, e ce le fa vivere attraverso i funzionari,
i sindacalisti, gli intellettuali, i giornalisti, gli imprenditori, le
cooperative, gli ex-partigiani, gli infiltrati, i faccendieri, le spie, i
pensionati, i circoli Arci, i semplici militanti. Si concede anche qualche
consapevole anacronismo perché, come spiega nella nota finale, è “interessato a
ricordare più le atmosfere, gli ambienti, le sequenze, le connessioni
psicologiche (forse non inverosimili) che la precisa scansione degli
avvenimenti”.
In questo modo riesci a digerire
le oltre cinquecento pagine del romanzo (forse con qualche ripetitività di
troppo verso la fine) impari parecchio e ti diverti pure.
Consigliato a chi è interessato alla storia italiana tra il secondo
dopoguerra e la fine degli anni 70 del secolo scorso e in particolare a
chi vuole concedersi una visita nella sala macchine, o nella cucina,
ormai diventati pezzi da museo, di un vecchio, glorioso, controverso e
potente partito.