La settimana scorsa, in spiaggia, finalmente
nell’ozio più totale dopo un anno molto faticoso, ho letto le 760 pagine del
“formidabile” Joël Dicker. Cito la spiaggia e il bisogno fisico di ore di tutto
riposo non a caso: la scelta si è rivelata perfetta per quel contesto. Anche
perché, come è stato scritto in qualche recensione, 700-800 pagine sono il peso
ideale per trattenere l’asciugamano in una giornata di vento.
La trama scorre leggera, non essendo intralciata
dai personaggi, che sono privi di qualsiasi spessore, totalmente funzionali all’azione. E poiché
l’azione passa attraverso diverse sorprese e capovolgimenti di scena, anche i
personaggi subiscono analoga trasformazione, senza che l’autore si sia
preoccupato di renderla minimamente credibile.
Al “formidabile” interessa unicamente costringere
il lettore a voltare pagina dopo pagina.
E, complice la noia, la spiaggia, il caldo afoso, la stanchezza, ci
riesce maledettamente bene.
Come ha dichiarato in diverse interviste,
Dicker ha deliberatamente utilizzato cliché facilmente riconoscibili per
catturare l’attenzione e creare un effetto simile a quello di alcune serie
televisive che inizi a vedere per noia, poi per curiosità, poi ne diventi
dipendente e non te ne stacchi più.
La quarta di copertina evidenzia il
commento di Marc Fumaroli, storico francese, classe 1932, non certo tenero con
le contaminazioni dell’arte con il marketing, che parla di “adrenalina
letteraria”.
In effetti, gli aspetti più leggeri e
semplicistici di quest’opera non urtano al punto di farti abbandonare la
lettura. Io sono stato tentato un paio di volte, ma poi ho desistito, forse
perché non avevo con me un altro volume in grado di trattenere altrettanto
efficacemente l’asciugamano.
Gli elementi più indigesti e più sgradevoli
al mio palato sono stati la cornice del “coaching” letterario e il deprimente tormentone
amoroso. Su questi aspetti, tocca entrare nel merito.
Marcus Goldman, protagonista del romanzo e
proiezione dell’autore, diventato “il formidabile” ai tempi del liceo perché
sceglieva astutamente di misurarsi in competizioni dove poteva vincere facile,
è uno scrittore che ha pubblicato un romanzo che ha venduto due milioni di copie
ma poi cade vittima della sindrome da pagina bianca. Si rivolge al suo amico e
professore di università Harry Quebert, che trent’anni prima aveva pubblicato “Le
origini del male”, romanzo di
grandissimo successo. Quebert risulterà poi il principale indiziato dell’omicidio
della quindicenne Nola Kellergan, avvenuto proprio nell’anno di pubblicazione
di “Le origini del male”. Tra il maestro e l’allievo si instaura un sodalizio
che fa da cornice alla storia vera e propria, e mentre l’uno acquista forza,
dell’altro si scoprono sconcertanti debolezze capitolo dopo capitolo, ognuno
dei quali viene aperto da un insegnamento, una pillola di saggezza offerta secondo
la più scontata retorica “american style”.
Il tormentone amoroso è invece davvero
imbarazzante. Il trentaquattrenne Quebert e la quindicenne Nola vivono una
storia d’amore dalla quale entrambi non si riprenderanno mai più, l’una perché
muore, l’altro perché da quel momento vivrà soltanto di ricordi. Apprendo da
altri commenti che c’è una esplicita citazione di “Lolita” per il fatto che Quebert è solito scrivere
ossessivamente il nome N O L A scandendo
le lettere, come avveniva nell’opera di Nabokov (che non ho letto).
Su un tema così urticante come una
relazione tra un uomo adulto e un’ingenua (?) ragazzina, l’autore avrebbe
dovuto decidere la prospettiva da cui raccontare e attenersi a quella. Invece, a causa del totale asservimento dei personaggi
alla trama, e con lo scoperto intento di piacere a tutti, la storia tra Quebert
e Nola viene raccontata con diversi stili, dal romantico-melenso (in piena zona
Harmony, con i gabbiani, la danza sotto la pioggia, la vacanza nel resort di
lusso, la musica lirica) al retorico-tragico-adolescenziale-maledetto (con qualche
pagina involontariamente comica), al sordido-scabroso (la dolce e tenera fatina
del paese che apre la patta ad un poliziotto e si esibisce disinvoltamente in
un rapporto orale), al malinconico-filosofico-esistenziale (la caduta, i ricordi,
il senso di colpa, l’espiazione). Risultato? I personaggi meno credibili del
romanzo sono proprio i due principali. Si possono perdonare i cliché finché
riguardano i personaggi di supporto, il poliziotto burbero buono, l’editore
squalo, l’avvocato cinico, la cameriera che sogna Hollywood, il riccone potente
circondato da un losco alone di mistero. Un po’ più difficile è passar sopra le
improvvise trasformazioni dei due personaggi chiave: il cambio di maschera motivato sempre troppo
frettolosamente e superficialmente di sicuro colpisce ma un po’ disorienta. Tanto
che la domanda principale non è: chi ha ucciso Nola (facendo il verso a “chi a
ucciso Laura Palmer” di Twin Peaks), ma piuttosto: chi era veramente Nola?
Lo stesso dicasi per l’ondivago professor
Quebert, che impartisce lezioni da un pulpito che non avrebbe diritto ad
occupare, si erge a coach di scrittura e di vita, ma fallisce tutte le prove in
cui la vita gli chiede di dimostrare un
briciolo di maturità, forza d’animo, coraggio, rettitudine.
Forse era proprio questo l’intento dell’autore:
sulla scia di precedenti illustri, nella narrativa, come nel cinema e nelle
serie TV, voleva forse descrivere la provincia americana come un luogo di
personaggi meschini, sciatti, un luogo dove tutti sanno un pezzo di verità ma
nessuno parla, tutti sono colpevoli di qualcosa o hanno qualcosa da nascondere,
tutti avrebbero potuto uccidere Nola Kellergan e tutti sarebbero stati capaci
di farlo, tanto che alla fine non importa nemmeno chi è l’effettivo autore dell’omicidio.
C’è un’aria malsana che avvolge ogni cosa,
i personaggi sono pallide ombre e nessuno, nemmeno la vittima, è veramente
innocente. In fondo, tutti sono vittima di qualcosa, se non altro di essere
nati e vissuti nella provincia americana.
Di fronte a tutto questo, un ragazzetto
presuntuoso e fortunato arrivato da New York in cerca di ispirazione, secondo
uno dei più collaudati plot hollywoodiani si impone come l’eroe pulito, onesto
e integerrimo, riscattando i suoi poco onorevoli trascorsi di antipatico “formidabile”.
Trent’anni di omertà spazzati via da un
improvvisato investigatore di primo pelo: spettacolo!