martedì 3 marzo 2015

Bertolt Brecht, Vita di Galileo



Cosa c’è dietro l’abiura che nel 1633 Galileo Galilei pronuncia davanti all’Inquisizione? Niente, solo ciò che si vede e che è immediatamente comprensibile senza dietrologie: semplice paura del dolore fisico.

Bertolt Brecht ci consegna in questo dramma un ritratto realistico e materiale dello scienziato pisano che dialoga con il popolo, è afflitto da preoccupazioni economiche, non è privo di scaltrezze e senso pratico, beve vino, apprezza la buona tavola, scrive le sue opere in volgare anziché nel latino dei dotti, strapazza e si fa strapazzare dalla sua governante, ma soprattutto ha davanti a sé l’evidenza di una nuova era destinata a cambiare il mondo e tuttavia deve dissimulare l’eccitazione e barcamenarsi tra pericoli, trappole e fastidi di ogni genere.

Nel corso delle quindici scene, dove c’è spazio anche per battute di spirito e  passaggi divertenti, si scivola dalla commedia al dramma,  per giungere infine  ad un interrogativo sul ruolo degli scienziati nella società.

Brecht prima ci fa familiarizzare con il sanguigno scienziato accompagnandoci nel tinello di casa sua, lontano da cattedre, muffa e polvere. Poi ce ne mostra la grandezza, soprattutto nella rivoluzionarietà delle sue scoperte e nella sua lotta senza speranza contro le forze della conservazione (Galilei: “Signori, ve ne prego in tutta umiltà: prestate fede ai vostri occhi”. Matematico: ”Caro Galilei, ho ancora l’abitudine, anche se possa apparirvi antiquata, di leggere ogni tanto Aristotele: e, ve ne assicuro, quando lo leggo, credo ai miei occhi!”). Facciamo il tifo, trepidiamo, ci immedesimiamo, vorremmo che andasse a Roma e li stendesse tutti e poi, di fronte al suo cedimento, ci rifugiamo nel complottismo (l’avrà fatto per continuare a studiare! Per continuare a scrivere libri!) e rifiutiamo di usare gli occhi, rinnegando il suo insegnamento.

Bertolt Brecth vuole dirci che l’umana debolezza di Galilei è gravata di una grande responsabilità. La colpa di cui Galileo si è macchiato abiurando, secondo il grande drammaturgo, è di aver svuotato la scienza del suo significato sociale, di averla rinchiusa nel recinto delle dispute tra specialisti, fuori da ogni controllo e coinvolgimento popolare, e dunque libera di accettare ogni condizionamento e compromesso con il potere.

Brecht scrive la terza e ultima versione di Vita di Galileo dieci anni dopo il lancio della bomba atomica a Hiroshima e Nagasaki, con il mondo diviso in due blocchi contrapposti, ognuno dei  quali ha costruito un potente apparato scientifico, militare e accademico per affermare la propria supremazia sul mondo. In Galileo egli vede l’autore del peccato originale che pesa sulla coscienza di ogni successiva generazione di scienziati. “La bomba atomica, come fenomeno tecnico non meno che sociale, è il classico prodotto terminale delle sue conquiste scientifiche e del suo fallimento sociale” (Bertolt Brecht, Note alla Vita di Galileo).

Nella prima versione, completata in esilio nel 1938, Brecht rappresenta l’abiura di Galileo come un’astuzia per poter continuare a lavorare senza essere molestato dai suoi persecutori . Si tratta di un pensiero rivolto agli antinazisti rimasti in patria, perché continuino a vivere senza farsi scoprire sotto Hitler. Ma dopo gli orrori della guerra e in piena corsa verso il baratro delle superpotenze vincitrici, Brecht ci toglie ogni speranza.

L’ex allievo Andrea ancora si illude e dice al suo maestro: “Volevate guadagnar tempo per scrivere il libro che solo voi potevate scrivere. Se foste salito al rogo, se foste morto in un’aureola di fuoco, avrebbero vinto gli altri”.

E Galileo: “Hanno vinto gli altri. E un’opera scientifica che possa essere scritta da un uomo solo, non esiste”.

“Ma allora perché avete abiurato?”

“Ho abiurato perché il dolore fisico mi faceva paura”.

Con l’abiura, Galileo si conquista la possibilità di continuare a studiare per assecondare una sua personale voglia, un suo privato vizio e di ciò prova vergogna, consegnandosi sconfitto alla storia: “Se gli uomini di scienza non reagiscono all’intimidazione dei potenti egoisti e si limitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre, ed ogni nuova macchina non sarà fonte che di nuovi triboli per l’uomo. E quando, coll’andar del tempo, avrete scoperto tutto lo scopribile, il vostro progresso non sarà che un progressivo allontanamento dall’umanità.”

Nessun commento:

Posta un commento