lunedì 28 aprile 2014

La solitudine dei numeri primi



Su La Sepoltura della Letteratura, uno dei blog che seguo, ieri c’è stata un’interessante discussione su questo romanzo, con oltre 40 interventi, tra cui il mio. Tutto è partito da una pesante stroncatura del gestore del Blog, con conseguenti commenti a favore e contro.

Per quel che mi riguarda, considero “La solitudine dei numeri primi” un buon romanzo d’esordio, con un’efficace idea di base e ottime capacità di catturare l’attenzione del lettore (senza però riuscire a condurlo a un approdo convincente). Certo, non mi sfugge l’abile operazione di marketing editoriale che sicuramente c’è stata dietro a questo lancio. Ma non mi disturba più di tanto. Anche perché in questi casi io sono solito evitare l’acquisto del libro e preferisco prenderlo in prestito in biblioteca. Per l’acquisto ci può essere tempo dopo, se sono davvero convinto. E’ la stessa cosa che ho fatto con un altro romanzo uscito più o meno nello stesso periodo di quello di Giordano: L’eleganza del riccio. Anche la Barbery sviluppa un tema interessante, con buona tecnica, ma con una pedanteria e leziosità che mi ha un po’ infastidito e che alla fine mi ha portato a respingere il suo romanzo, per il quale, al contrario che per La solitudine, darei un giudizio tutto sommato negativo.

In definitiva, a me pare che libri come questi, anche quando tecnicamente validi,  manchino di autentica passione. Sembrano esercizi di stile, più o meno riusciti, ma non riescono ad andare in profondità proprio perché si percepisce che anche l’autore li ha costruiti in modo freddo, senz’anima. Forse mi avete già capito, ma c’è una parola chiave, tra i commenti che sono stati inseriti ieri, che mi ha fatto sobbalzare. Ad un certo punto una lettrice chiede al gestore del Blog: scusa, ma perché parli ancora di un libro così “datato”? Questa parola mi ha evocato un’altra esperienza personale. Su Qlibri qualche settimana fa ho recensito il romanzo di Paola Mastrocola “Non so niente di te” e uno dei commenti ricevuti è stato più o meno questo: sono venuti fuori buoni spunti, considerando che si tratta di una lettura un po’ “datata” (NB: non erano ancora trascorsi 12 mesi dall’uscita di questo romanzo!)

Ecco, girando attorno al termine “datato” forse riesco a spiegarmi meglio. I libri che sono portato a promuovere senza tentennamenti sono quelli che riescono a resistere un po’ di più del tempo in cui cambia la moda del taglio di capelli o si abbassa o si alza il girovita dei calzoni. Sono quei libri in cui l’autore, parlando di qualsiasi cosa, passata, presente, o futura, riesce a mettere tutto se stesso e, poiché il cuore umano da millenni è attraversato dalle stesse passioni, così facendo non può che collocarsi nel flusso dei grandi temi narrativi che da Omero in poi ci affascinano e ci appassionano.

Forse, oltre a quello delle biblioteche, possiamo ricavarne un altro suggerimento: aspettiamo che la moda passi. Quando ci sarà silenzio, si saranno spente le luci e le voci dei lettori che non vogliono perdere tempo su oggetti “datati” si saranno disperse nell’aria, allora sarà il momento di prendere in mano quel libro su cui eravamo dubbiosi, sfogliarlo e iniziarlo a leggere. E se nel perfetto silenzio ci comunicherà davvero qualcosa, andiamo avanti con fiducia.

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